Difficile afferrare il senso di ciò che dice «colui che non vuole parlare». Difficile comprendere quale sia la quota di ragionevolezza e quale di conformismo al regime quando, alla luce del Nobel, un premio a volte discutibilmente ecumenico, ma indiscutibilmente occidentale, si vogliono valutare certe affermazioni dello scrittore Mo Yan su temi che in Occidente afferiscono senza se e senza ma all'ambito dei diritti civili.
Sulla tortura, il 57enne autore di quel catalogo di torture che è Il supplizio del legno di sandalo si è espresso così: «In Cina le torture, le esecuzioni, sono sempre state viste come uno spettacolo. Esiste una forma di collaborazione tra il giustiziato, il boia e il pubblico. Ho voluto essere duro per vedere se mi riusciva di suscitare una reazione». Secondo lo scrittore Mo Yan il pubblico cinese guardava le torture come al Colosseo guardavamo i combattimenti con gli animali, e in Francia le esecuzioni con la ghigliottina e via con gli esempi storici del gusto per il male inflitto, che abbondano. Ma sempre secondo lo scrittore Mo Yan chi considera le torture un passatempo è brava gente e forse leggerne le storie aiuterà qualcuno a capire perché partecipa. Sugli aborti forzati imposti dal regime, lo scrittore Mo Yan ha scritto Le rane (verrà pubblicato da Einaudi nel 2013), in cui «zia Gugu», un'altra delle sue imponenti eroine, da levatrice si trasformerà in boia. La storia aiuterà qualcuno a capire che cosa impone alle donne il controllo della nascite?
Sulla censura, lo scrittore Mo Yan ha parole altrettanto ambigue e paradossali: «Le limitazioni della censura sono un grande stimolo per la creatività letteraria». E spiega che quel realismo allucinatorio che gli è valso il Nobel deriva proprio dalla manipolazione esorbitante e parabolica della vita reale che gli è stato necessario mettere in atto per sventare le incursioni censorie nei suoi testi. Esistono intellettuali «liquidi» che invece di attraversare la soglia della dissidenza si stabiliscono sul limitare. Eppure su una serie di temi, come il femminismo, l'ambiente, il progresso vorticoso di cui la Cina è stata protagonista in questi anni, lo scrittore Mo Yan si esprime. Delle donne dice che sono più coraggiose degli uomini, che risolvono i grandi disastri della storia con la forza delle madri. E sullo sviluppo astronomico della Cina a livello economico e industriale, stende il velo di una insoddisfazione talmente velata da assomigliare a una rassegnazione: «Il problema più grande della Cina attuale sono le differenze di ricchezza. Ai tempi di Mao eravamo tutti uguali. Dagli anni '80 in poi, invece, la distanza tra le persone è andata aumentando».
Qualcosa, insomma, lontano anni luce da una protesta o da una testimonianza di dissenso. Il mondo connesso in cui viviamo, però, ha tra i suoi pochi meriti quello di ostacolare l'obliquità: sui microblog cinesi i tweet ricordano da ore che lo scrittore Mo Yan è un membro del Partito Comunista, un dirigente dell'Associazione degli scrittori controllata dal governo, uno degli autori che trascrisse a mano, ad uso della futura Repubblica Popolare, un discorso di Mao Tse Tung sui canoni dell'arte e della letteratura, colui che risultò assente, a Francoforte nel 2009, alla conferenza stampa con i dissidenti che commentavano il Nobel per la Pace a Liu Xiaobo. Disse, allora, che non conosceva i fatti e che non voleva esporsi. Anzi disse, lo scrittore Mo Yan, che gli scrittori devono poter scegliere se gridare la propria indignazione per la strada o usare, per farlo, la letteratura, rimanendo nelle proprie stanze.
Con questo premio la Cina fa pace con il Nobel: lo scrittore Mo Yan risiede in Cina, non è un dissidente.
Se prende un premio, vuol dire, per il mondo, che all'Accademia di Svezia va bene la Cina così com'è? Lo scrittore Mo Yan è anche Mo Yan soldato, Mo Yan politico, Mo Yan cinese di una Cina totalitaria? Difficile che un intellettuale di questo calibro, che pur avendo divorato «troppo tardi» Calvino e Faulkner e García Márquez, pure, nonostante la censura, li ha divorati e che è sceso negli inferi di privazioni del proprio Paese come nessun altro ha saputo fare, scriva senza sapere che la fiction, oggi, ha più potere che in qualsiasi altro momento storico. Il potere di cambiare la realtà e non solo di farsene cambiare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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