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Così l'anti-Solgenitsin vede la Mosca del 2042

Ecco il romanzo in cui il dissidente Vladimir Vojnovic immagina una Russia ancora comunista. Ma la figura più grottesca è una parodia dell'autore di Arcipelago Gulag

Così l'anti-Solgenitsin vede la Mosca del 2042

Ci sono libri che illuminano il futuro e altri che illuminano il passato. Mosca 2042 (in questi giorni in libreria per Dalai, pagg. 384, euro 20), straordinario romanzo distopico di Vladimir Vojnovic, colpisce i due centri con un colpo solo. La Mosca del futuro che descrive è indubbiamente per molti profetici versi quella di oggi. Ma i molti protagonisti «a chiave», primo fra tutti Sim Symic Karnavalov, dietro il quale nasconde il ben più noto Aleksandr Solgenitsin, accendono di nuove scintille vecchie polemiche, strappando sorrisi amari sulla Russia sovietica e post-sovietica. Non a caso Vojnovic è stato uno dei pochi ad essersi attirato sia le ire dei comunisti, sia quelle dei rappresentanti del dissenso.
Nel 1986, quando il romanzo venne pubblicato per la prima volta, Vojnovic viveva in esilio dall'Unione Sovietica, nella Germania Ovest. Ed è lì, nel 1982, che il protagonista del romanzo, lo scrittore Karcev, scopre grazie ad un amico che esiste un'agenzia viaggi «speciale» a Monaco di Baviera in grado di organizzare trasbordi da e per il futuro. E come può un dissidente resistere alla tentazione di conoscere il futuro del comunismo? Karcev prenota senza farselo dire due volte: con un viaggio di sole tre ore su un aereo Lufthansa che ben poco ha di diverso rispetto ai voli ordinari, si ritroverà catapultato nella Mosca del 2042.
Questa Mosca postcomunista di sessant'anni dopo, tanto priva di dettagli tecnologici quanto focalizzata sulla fantapolitica alla faccia delle guerre stellari occidentali, è una città-stato governata dal Genialissimo, giunto al potere dopo la Grande Rivoluzione di Agosto. Il leader si trova su una navicella che gira intorno alla Terra, ma il suo volto sorride da poster e locandine, insieme ai ritratti di Marx, Engels, Lenin e Gesù, visto che il nuovo ordine è un ibrido di fede e moralismo ipocriti. Si può fotografare tutto purché la macchina fotografica sia priva di pellicola; le denunce non sono trascrivibili perché manca la carta; al bordello di Stato, Il Palazzo dell'Amore, i bisogni si soddisfano col sistema «self-service». Il nemico più acerrimo dell'ordine costituito sono i «Simiti», seguaci del culto dello scrittore Karnavalov, convinti che un giorno costui tornerà in Russia in sella a un bianco destriero, sebbene il suo corpo sia stato congelato nel caveau di una banca svizzera. Il ritratto di Karnavalov, che Karcev incontra in un summit in Canada nel XXI secolo, è esilarante: lo scrittore dalla lunga barba passa la giornata a lagnarsi equamente della decadenza occidentale e delle magagne del comunismo ed ha appena terminato un nuovo romanzo di oltre 800 pagine, il primo di una serie di sessanta.
Fu a causa di questo impietoso ritratto di Solgenitsin che Vojnovic subì, dopo gli attacchi del Soviet, quelli degli estimatori dell'autore di Arcipelago Gulag, i quali tentarono di boicottare il romanzo. Prima di svelarvi come si vendicò una diecina di anni dopo, presentiamo l'abile mano che tratteggia questa profezia ideologica, tradotta in Italia con oltre un quarto di secolo di ritardo (Dalai ha in programma di tradurre anche La vita e le straordinarie avventure del soldato Ivan Chonkin, Propaganda monumentale e Il colbacco). Classe 1932, di discendenza serba ed ebraica, quando fu espulso nell'Ottanta per aver solidarizzato con i principali movimenti per i diritti umani Vojnovic aveva già dato alle stampe due opere memorabili: le avventure del soldato Chonkin, lo stereotipo caricaturale del «marmittone» sovietico, che aveva avuto modo di osservare da vicino prestando servizio nei primi anni Cinquanta nell'Armata Sovietica, e L'Ivankiade, in cui uno scrittore cerca di guadagnarsi un appartamento più grande lottando con il mondo dei burocrati.
Dopo l'avvento di Gorbacev, Vojnovic passa sempre più tempo in Russia, fino alla riacquisizione della cittadinanza russa e al ritorno a Mosca. Ed è qui che, nel 2002, sei anni dopo il ritorno di Solgenitsin in patria, Vojnovic si accanisce ancora contro il suo «rivale». La Russia capitalista di quegli anni aveva ormai pressoché dimenticato il suo Nobel del 1970: chiusa per mancanza di audience la sua trasmissione tv di prima serata, ignorati i suoi saggi di denuncia, inosservato il rifiuto della medaglia di Sant'Andrea dalle mani di Eltsin, tagliato fuori l'autore di Una giornata di Ivan Denisovic dal dibattito letterario.

Ma non da quello personalissimo di Vojnovic, il quale gli dedicò un velenoso pamphlet di quasi 200 pagine, Ritratto sullo sfondo di un mito, in cui non gli risparmiava nulla: lo definiva egolatra, monarchico, antisemita, autoritario, «convinto di avere una missione superiore» e «incaponito a scrivere e riscrivere La ruota rossa, sterminata epopea sul 1917». Insomma, Solgenitsin ridiventava Karnavalov. Ma senza pseudonimi, in onore alla glasnost.

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