Così il parassitismo dello Stato ha cancellato i miracoli del Nord

Il volume di Giuseppe Berta, La via del Nord. Dal miracolo economico alla stagnazione (il Mulino, in vendita a 18 euro) ha l'indubbio merito di riconoscere con chiarezza come da tempo il Settentrione italiano sia in declino. Riscrittura di un volume del 2008 intitolato Nord , questo testo appare assai più pessimista (o realista) di quello precedente, perché ormai il disincanto è completo.

Sebbene sia eccessivo affermare, come si fa nell'introduzione, che il Nord apparirebbe adesso «in larga misura omogeneo» al resto della nazione, è però vero che lungi dall'assistere a una progressiva crescita delle aree più povere, da tempo si deve constatare l'arrancare dei territori più dinamici e che ora fanno i conti con una constante migrazione di molti giovani di qualità. Il lavoro analizza l'Italia settentrionale dalla fine della guerra a oggi e nei diversi capitoli prende in esame taluni profili importanti della storia economica: le caratteristiche degli imprenditori e dei politici, il ruolo dei lavoratori e delle loro associazioni, l'identità delle diverse città. In particolare, si sottolinea a più riprese come il Nord sia mutato in profondità quando il triangolo industriale si è indebolito ad Ovest (Torino e Genova) proprio mentre, tra gli anni Ottanta e Novanta, il Veneto esprimeva un nuovo dinamismo.

All'inizio, il Nord ha successo grazie a una cultura industriale che seppe cambiare decisamente, lasciandosi alle spalle una concezione ancora un poco artigianale per sposare, invece, modelli simili a quelle delle grandi imprese americane. Ma poi anche quel mondo inizia ad arrancare, e non solo in Italia. Il Nord produttivo smette di identificarsi con Fiat e Pirelli, riconoscendosi ad esempio nei distretti industriali e in un'imprenditorialità diffusa. Su tali questioni che riguardano la trasformazione del mondo del lavoro Berta si sofferma a lungo, così com'è attento a delineare le figure che hanno giocato un ruolo cruciale: da Mattioli a Valletta, da Olivetti a Cefis, da Craxi a Berlusconi. Lascia però perplessa l'attenzione troppo limitata a un fattore che, mi pare, non possa essere sottostimato in un testo che esamina il fallimento di quest'area. Riferendosi agli anni '50 Berta cita Guido Piovene, che parlava del paradosso di Milano e della Lombardia: «una regione e una città tra le più ricche d'Europa, inserite in una nazione tra le più povere d'Europa». Se oggi perfino l'economia lombarda arranca molto dipende dall'espansione del ruolo dello Stato, che ha generato una tassazione sempre più alta, una corruzione scandalosa, un infittirsi di regole.

C'è un punto del libro in cui sembra individuarsi il cuore del problema ed è dove si afferma che il 16 giugno del 1962, con la nazionalizzazione dell'energia elettrica, la classe politica ha iniziato a porre fine al miracolo economico. La disoccupazione era allora al 2,5%: non tornerà mai più a livelli tanto bassi.

L'indagine sul disagio attuale della società settentrionale avrebbe allora dovuto focalizzare maggiormente l'attenzione su questo progressivo squilibrio tra pubblico e privato, tra Stato e libertà, tra dirigismo e cooperazione di mercato. Se il Nord è precipitato così in basso e il resto del Paese non ha saputo crescere, la ragione è la medesima: l'imporsi di logiche stataliste.

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