Ecco le più belle storie di Arpino

Pubblicate le lettere degli anni '50 e '60 alla moglie. Che oggi racconta: "Qui iniziano le sue invenzioni"

Ecco le più belle storie di Arpino

Rina, Rinin, Rina bella, Rinot...
Rina aveva 18 anni, era bellissima, e frequentava il Liceo classico a Bra, Cuneo, quando lo conobbe. «Lui aveva intelligenza e fascino. Fu il colpo di fulmine». Lui, Giovanni Arpino, sarebbe diventato un grande scrittore e giornalista. Lei, Caterina Brero, sarebbe diventata soltanto «Rina», il suo grande amore: la ragazza, la fidanzata, la moglie. La vedova Arpino. Che oggi ha 82 anni, vive ancora a Bra, Cuneo, e legge ancora i “pezzi” e libri di lui, che se ne è andato 25 anni fa, abbattuto dal cancro e dalle centinaia di sigarette al giorno, a 60 anni giusti, a Torino, all'ombra delle colline.
«Lo leggo ancora, eccome. Mi è appena capitato. Ho iniziato il romanzo che ha vinto l'ultimo premio Strega. Poche pagine e l'ho chiuso. Ho comprato quello che ha vinto il Campiello: un capitolo, e l'ho lasciato lì. Poi ho riprese dalla biblioteca di Giovanni un suo libro, e l'ho finito in due giorni. Se è stato un grande scrittore? Per me è stato uno straordinario giornalista, e un buonissimo romanziere. Cosa vuole, io ho insegnato per 40 anni Scienze naturali: forse a me manca la fantasia per capire fino in fondo i suoi romanzi... Comunque, sapeva raccontare storie magnifiche».

Magnifico raccontatore di storie inventate e straordinario osservatori di fatti reali, Giovanni Arpino, romanziere che vinse lo Strega e il Campiello, e giornalista che convinse Montanelli e il Giornale, aveva appena quattro anni più di Rina, quando la conobbe, nel 1950, e quando iniziò a scriverle lettere di amore, di rabbia, di stanchezza, di esaltazione, di smarrimento, le Lettere a Rina che ora vengono pubblicate per la prima volta da uno degli editori più letterari che abbiamo, Aragno. «Per molti anni non ho saputo cosa fare delle lettere di Giovanni. Strapparle non potevo: qui dentro c'è la mia giovinezza. Pubblicarle neppure: c'è troppa intimità. Poi, superati gli 80 anni, ho deciso. E le ho date all'editore. Ho pensato che qui dentro oltre la mia giovinezza e la nostra intimità ci fosse una cosa che era giusto far sapere a chi ama Arpino: qui dentro c'è tutta la fatica, la paura e l'estasi di Giovanni quando comincia a lavorare ai suoi romanzi. Qui soprattutto c'è l'inizio della sua invenzione narrativa, ci sono le sue storie più belle. Una testimonianza di dedizione totale alla scrittura».

Per lui erano «soltanto una massa di cattive parole in fila», come scrive il 15 settembre del 1951, «neanche lettere utili agli spulciatori posteri», come dice il 25 gennaio 1952. E invece, nelle 167 lettere scritte alla sua Caterina tra il maggio 1950 e l'agosto 1962 (un primo blocco risalente agli anni della leva, soprattutto da Lecce e da Napoli, quando sono fidanzati; il secondo durante gli anni del matrimonio, dei viaggi e del lavoro «matto e disperato») c'è davvero un Arpino importante, quello che nessuno - a parte Rina - ha mai conosciuto: l'Arpino insofferente alla disciplina e all'insensatezza della vita militare, l'Arpinio anche collerico e dal carattere «ben irsuto», l'Arpino amante appassionato, l'Arpino napoletano («però è bello, sporco, disordinato, vertiginoso e vociante l'andare in giro per Napoli»), l'Arpino milanese («Milano stritola la gente come un gatto gli ossi»), e poi l'uomo che facilmente sprofonda nella solitudine e nella paura, lo scrittore che ha bisogno di «fare», di scrivere, di «lavorare come un negro», così scrive il 4 gennaio 1959, l'intellettuale orgoglioso, sicuro del proprio talento, inquieto, ribelle, solitario. «Ma Giovanni soprattutto era generoso...».

«E molto bello. Nelle case editrice milanesi, quando ci arrivò, ormai scrittore famoso, negli anni Sessanta, trovò molte donne in carriera, bellissime, che avevano tutto. Ma non un marito. In quei casi, quando nascevano queste amicizie, lui si prendeva una vacanza, e io gliela concedevo... Loro pensavano che lui si separasse... Povere illuse... Tornava sempre da me, alla fine. Alcune di loro le conobbi pure... Una mi telefonò a casa, disperata! Era un'amica di Marisa Rivolta, l'amante storica di Montanelli, e che poi divenne seconda moglie di un noto disegnatore... Ma il nome non lo scriva... Comunque Montanelli - che era molto amico di Giovanni, infatti lo volle con lui al Giornale - era un bel tipo... Da adultero, avrebbe voluto che anche i suoi amici lo fossero. Quando mio marito vinse il Campiello nel 1980 con Il fratello italiano, Montanelli, invece che mandare il telegramma di felicitazioni a casa nostra a Bra, come tutti gli altri, lo mandò a Milano, in via Leopardi, dove Giovanni aveva una mansarda... Comunque, anche quella volta, come sempre, tornò a casa.

Amava la sua casa, la sua famiglia, suo figlio sopra ogni altra cosa». E sopra ogni altra cosa amava Caterina. Rina. Alla quale dedicò 167 lettere. E un poema di vita, d'avventure, di amore e di avventure da raccontare.

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