Cultura e Spettacoli

Figuracce sì, ma a misura di marketing

Un libro furbo in cui gli scrittori "che piacciono" raccontano improbabili situazioni imbarazzanti. Il successo? Garantito

Figuracce sì, ma a misura di marketing

«La vita, in fondo, non è che uno slalom tra figure di merda». È questa la frase di lancio della nuova antologia estiva di Einaudi, Figuracce, a cura di Niccolò Ammaniti, in cui sono raccolti gli infortuni di alcuni dei più importanti scrittori italiani. Tutti di alto lignaggio letterario, tra cui ben tre premi Strega (Ammaniti, Giordano e il neo reggente Piccolo). Per fortuna dei lettori non si tratta del tentativo di replicare il successo di Gioventù Cannibale, antologia di semiesordienti con cui si sprecano i parallelismi. Uscita nel '96, la raccolta si proponeva di lanciare nuove voci rilevanti per la narrativa contemporanea. Ce la fece, col risultato non voluto di dar vita a una serie infinita di imitazioni. Un po' come Quentin Tarantino, padre di tanti, imbarazzanti, figli illegittimi.

In Figuracce non c'è nessun tentativo di livellamento o di raggruppamento. Ognuno dei nomoni presenti scrive a modo suo attorno all'idea furba per un'antologia estiva da leggere sotto l'ombrellone. Ed è importante che l'idea sia furba. Le antologie più vendute, targate Sellerio e Einaudi, sono di solito composte di racconti gialli e polizieschi. Non si capisce perché la letteratura letteraria non dovrebbe rimboccarsi le maniche e andare incontro al pubblico che le spetta, idealmente composto non solo di tristi e lugubri freak, ma anche di gente normale con voglia di vivere e giorni di ferie da spendere.

Non c'è intento più nobile che cercare di fare quattrini con la letteratura.

Quindi, W Einaudi, anche se nella comunicazione camuffa l'operazione ammantandola di una spontaneità del tutto improbabile. Ammanniti, infatti, nella sua prefazione fa risalire l'idea del libro a una presunta cena con tutti gli antologizzati, durante un'afosa estate romana in cui si raccontarono a vicenda i propri scheletri nell'armadio. Una frottola divertente, ma poco credibile. E, anche fosse vero, il pregio di Figuracce, lungi dall'essere la sincerità dei racconti, resta quello di essere un'operazione squisitamente commerciale che non delude il pubblico di nicchia.

Perché i lettori dei singoli autori troveranno nel racconto del loro beniamino il piacere di accedere al suo (finto) privato e avranno, al contempo, l'occasione di dare un'occhiata a scritture sconosciute. Invece, il lettore forte si godrà in sequenza voci diverse che si cimentano - con prove scritte per l'occasione o riesumate dall'hard disk colmo di articoli da rielaborare e romanzi abortiti - su un tema comune, in un confronto di stili e tematiche, impegno e leggerezza, umorismo e ricerca linguistica.

Vista l'elevata percentuale di «stregati» il gioco letterario dell'estate potrebbe consistere nel dar vita a una propria ideale cinquina delle short-novel presenti.

Apre il libro il racconto di Francesco Piccolo, che affronta la fragilità di chi non sa dire di no perché pensa (o finge di pensare, che è uguale) che ogni cosa che gli capiti sia un dono per cui essere grato (mentre pianifica un omicidio insieme all'amico Ammaniti, che in Figuracce svolge il ruolo di ideatore, curatore, autore e personaggio). Seguono Elena Stancanelli, sopraffatta da Albano e dallo stress nello studio di Unomattina; Christian Raimo, che ricorda i suoi divertenti esordi letterario/accademici frustrati dalla stitichezza, il cui mostruoso esito verrà affrontato con stoicismo a una festa nientemeno che da David Foster Wallace; l'indimenticabile crociera degli artisti di Emanuele Trevi (in pole position nella mia cinquina) in cui troneggia il capobrigata Professor Pullone, adorabile cialtrone e poeta che ogni critico letterario degno di questo nome vorrebbe rivalutare postumo; le indecisioni di Paolo Giordano davanti ai venditori degli autosaloni e la scoperta della felicità alla guida di un suv nuovo di zecca; l'orrido vestito a fiori che, galeotto, attira alla protagonista di Pascale le attenzioni di un perverso scrittore di noir; la serata a Courmayeur tra scrittori monopolizzata da una cafona in abiti sadomaso che ne combinerà di tutti i colori al povero De Silva. Chiude Ammanniti, alle prese con la terribile maledizione che causò il flop clamoroso del film di Marco Risi tratto da un suo racconto.

L'autoreferenzialità che si potrebbe imputare a Figuracce è invece il suo punto di forza. Invoglia alla lettura con l'esca dichiarata del pettegolezzo. Certo, sarebbe divertente spingere il gioco alle estreme conseguenze. E pensare a un Figuracce 2 in cui i temi siano ancor più specifici e costrittivi. Che so, défaillance sessuali, vizietti illegali, intrallazzi editoriali.

Perché, se è vero, come dice Ammaniti, che «il mestiere dello scrittore per essere tale deve essere cosparso, come un wurstel di senape, di figure di merda», è anche vero che è quando il gioco si fa duro che i duri cominciano a giocare.

twitter@cubamsc

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