Era il principio del 2010 quando Alessandro D'Avenia, allora 32enne insegnante di lettere al liceo, esordiva con Bianca come il latte rossa come il sangue (Mondadori): Beatrice, malata di leucemia, amata da Leo. Entrambi sedicenni, vivranno un percorso di crescita per comprendere attraverso la morte il senso della vita.
Oggi la chiamano sick-lit ed è un fenomeno globale, ma il milione di copie vendute del suo romanzo sono state profetiche.
«Vorrei smontare un po' il giochino: non credo si tratti di un fenomeno etichettabile come effimero, dovuto alla congiuntura storica o all'intelligenza di mercato di alcuni nel piazzare certi prodotti. È normale, nell'adolescenza, voler affrontare i dolori della vita senza il copione dettato da papà e mamma: le narrazioni vissute da bambini non bastano più».
Ma è innegabile che il boom sia contingente: prima Harry Potter, poi i vampiri, poi la distopia, ora la malattia e il dolore.
«In questo momento storico, questo tema particolare si acuisce nella letteratura perché con la crisi della fede e la mancanza di altre narrazioni e contenitori consolidati, lo spaesamento è forte. Sto scrivendo un libro in cui raccolgo le centinaia di lettere ricevute sul mio libro e tutte toccano almeno uno di questi due temi di dolore: la morte di un coetaneo e l'abbandono da parte di uno dei genitori, succedaneo della morte. Perché questi ragazzi scrivono a un perfetto estraneo di cose così intime?».
Soliti fan in cerca di un contatto?
«Non si tratta di brevi scambi sui social network, ma di lettere vere. Un diciassettenne mi scrive che i suoi si sono separati. Presi singolarmente gli danno tutto. Ma lui vorrebbe l'impossibile: fare una passeggiata con entrambi. E si sente orfano. Qui c'è già materiale per un romanzo».
Le storie di dolore e morte fanno supplenza al ruolo degli adulti?
«La crisi educativa non permette più di comunicare con i ragazzi su questi temi e le storie dissetano un'arsura che a quell'età nessun altro cura. La letteratura per ragazzi spesso viene dichiarata superficiale, un puro abbandono alla fantasia e invece...».
Ma non sarà il «realitysmo» crudo a scatenare morbosità?
«Non credo che questi romanzi siano ascrivibili all'idea di reality . Magari da un punto di vista del gusto, dello stile, c'è il fatto che la nostra epoca si nutre di immagini, quindi l'immaginazione è più pigra e, per stimolarla, devi sollecitarla con dosi di realtà molto più forti. Game of Thrones è di un realismo impressionante e per la prima volta prende anche un pubblico di ragazze. La ricerca di choc emozionale grazie alle storie non è affatto tipico dell'adolescenza. Il realismo della sick-lit è dovuto al fatto che se ti viene nascosto qualcosa poi lo vuoi incontrare in tutte le sue dimensioni. È il realismo di chi conosce le cose per la prima volta, voluto da autori, come Green o Espinosa dei Braccialetti rossi , che sentono il bisogno di raccontarlo così. Come dice McCarthy: Nelle mie storie parlo di vita o di morte. Il resto mi annoia».
Come
accadde a lei.«Anch'io con Bianca come il latte partii da una storia vera, la morte di una ragazza reale, conosciuta a sedici anni. Ce ne ho messi altri dieci per mettere insieme i pezzi e scriverci un romanzo».
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