La giostra del piacere dei sopravvissuti di Singer

I romanzi di Singer, che narrano di esuli e sopravvissuti, sembrano raccontare il sentimento di questo tempo

La giostra del piacere dei sopravvissuti di Singer

Quando sei scampato alla morte ti immergi in una giostra di piaceri e non vuoi affannarti in altro che in questo. È l’unico modo che conosci per scansare il senso della fine e dare un senso ai giorni che ti restano. È l’erotismo dei sopravvissuti. Isaac B. Singer, dove B. sta per Bashevis, lo conosceva bene. È la stoffa di cui sono fatti i suoi personaggi più malandrini e picareschi, quelli che segnano i due romanzi «nascosti» e «ritrovati»: "Il ciarlatano" e "Keyla la rossa". Sono passati trent’anni dalla morte di questo ebreo polacco, newyorchese di adozione, figlio di un rabbino chassidico, premio Nobel in onore di un mondo che non c’è più, convinto fino all’ultimo giorno di essere un mezzo impostore e di aver rubato la fama a un fratello maggiore morto troppo presto e magari anche a una sorella vissuta ai confini della follia. Singer che in questi anni viene citato molto meno di Saul Bellow o di Philip Roth. Allora forse è per questo che ti viene la voglia di immergerti in "Un inafferrabile momento di felicità" (Guerini e associati, pagg. 274, euro 24). È il saggio, racconto, ritratto, avventura di Fiona Shelly Diwan e parla di eros e sopravvivenza. È qui che trovi gli sradicati dell’esilio, quelli per cui la morte è il Messia, anime nude in cerca di un altro corpo in cui insediarsi. È gente che viene dalla stessa schiatta di Yasha Mazur, il mago di Lublino, saltimbanco, illusionista, capace di liberarsi da qualunque corda, ma malato di irrequietezza e costretto a cercare quella terra dove finalmente gli sfiniti trovano pace. Tutti Giobbe, ma senza pazienza e con la fede in bilico. «Sapeva bene che non ci si deve lamentare dell’Onnipotente, ma ogni volta che leggeva il giornale rimaneva sconvolto. Che colpa avevano quei poveri bambini? Che cosa avevano fatto, per meritare una morte simile? E gli ebrei d’Europa? Era dalla distruzione del Tempio che non si vedevano tanta devastazione e tanta sofferenza». Singer li descrive così ne "Il ciarlatano" (Adelphi). «Appena arrivati dicevano tutti la stessa cosa: l’America non fa per me. Ma poi, a poco a poco, si sistemavano, e non peggio che a Varsavia». Ognuno a inseguire la propria ossessione, chi il riscatto, chi i soldi, chi il perdono, chi la misericordia, chi di sfuggire al pensiero della morte, specchiandosi nel proprio narcisismo e collezionando momenti di estasi erotica. È quello che accade a Hertz Minsker, il ciarlatano, appunto. Per lui tutto è gioco, «come in una giostra farsesca e seduttiva dal ritmo febbrile, con volteggi da operetta, a tratti quasi un Singspiel mozartiano alla Così fan tutte». Sono le canaglie scaltre e senza rimedio, sempre in cerca di soldi, truffatori maldestri, bugiardi e scrocconi che si fanno mantenere da vecchie e ancora ingenue signore. Se ne vanno in giro con nomi che non gli assomigliano, come Zygmund Krimski, e ripetono a se stessi l’identico mantra: la vita è una danza sulle tombe degli altri. Le donne e la ricerca del piacere sono le uniche pedine nella partita ingaggiata con il senso di vuoto e con la morte. «Da tempo era giunto alla conclusione che il piacere sensuale non faceva per i giovani: erano dei dilettanti, da ogni punto di vista». È che tutti loro, i malandrini e i saggi, quelli di successo e i raminghi, sono ombre di una civiltà che sta scomparendo. È per questo che Singer sceglie di scrivere i suoi romanzi in yiddish, curando personalmente la traduzione in inglese per un pubblico più vasto. L’yiddish è la lingua degli invisibili, dei fantasmi, dei demoni e degli angeli. È la lingua di chi si sente perso. «I am lost in America, lost for ever». È, appunto, la lingua delle anime nude. È, come ricorda Fiona Shelly Diwan, l’idioma dello smarrimento, capace di esprimere la condizione che è dell’ebreo ma anche di tutti gli uomini nel loro essere fuori luogo, in un altrove straniante. I romanzi di Singer, che narrano di esuli e sopravvissuti, sembrano raccontare il sentimento di questo tempo.

«La forza di Singer sta nella capacità di resuscitare la vitalità di uomini e donne che correndo dietro all’amore, alla gloria, alla fortuna, al perdono dei propri errori, non la finiscono più di inciampare in complicazioni che essi si adoperano a creare con pervicace accanimento».

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