Frederick Forsyth è uno degli scrittori di spy story più noti al mondo. Merito di alcuni suoi titoli: come Il giorno dello sciacallo, I mastini della guerra o Il Quarto protocollo (in Italia tutti editi da Mondadori) che lo hanno aiutato a raggiungere, nel corso degli anni, l'invidiabile cifra di 70 milioni di copie vendute. Questo ex pilota della Raf, passato per il giornalismo di guerra prima di dedicarsi alla letteratura, è l'altra faccia del romanzo di spionaggio britannico. Per certi versi l'anti Ian Fleming: nessun personaggio seriale, nessun volo pindarico condito di strani marchingegni. I suoi libri sono così realistici che la tecnica per ottenere un falso passaporto raccontata ne Il giorno dello sciacallo è finita nei manuali della polizia britannica e non solo. A rendere speciale questo arzillo signore, classe 1938, che ancora oggi è disposto a recarsi nella pericolosa Mogadiscio per dare la giusta ambientazione ad un romanzo, è proprio la capacità di amalgamare realtà e fantasia. Ecco perché al centro dei suoi ultimi titoli come L'Afghano o La lista nera (Mondadori, pagg. 282, euro 19) è finita la lotta al terrorismo islamico. Descritta in ogni dettaglio e senza buonismi. E proprio su questo tema abbiamo chiacchierato con Forsyth, venuto a Milano per Book City dove questa mattina, alle 11, incontra curiosi e lettori al Piccolo Teatro Grassi per parlare di «intrighi perfetti».
Signor Forsyth, perché ha messo al centro del suo romanzo una lista nera di terroristi islamici?
«Io nei miei romanzi pesco sempre dalla cronaca, non mi spingo mai indietro di più di una decina d'anni dal momento in cui inizio la stesura. Negli ultimi anni sui giornali o alla televisione la questione dell'eliminazione mirata di terroristi o di leader di al-Qaida è costantemente al centro della cronaca. Molto spesso ciò accade per mezzo di droni. Allora mi sono chiesto: ma come fanno ad individuare ed inseguire questi bersagli? Ho svolto ricerche per mesi, sentito i testimoni che era possibile sentire. Così è nato il libro».
Il bersaglio della caccia al terrorista è un predicatore che inneggia al jihad. Come ha costruito il personaggio?
«Mi sono ispirato a individui realmente esistenti come lo yemenita-statunitense Anwar al-'Awlaqi che ha svolto un ruolo determinante e pericolosissimo attraverso la sua predicazione on line e che è stato ucciso da un drone».
Questi predicatori sono davvero così pericolosi?
«Spesso i loro video possono essere acquistati nelle moschee o circolano in dvd o direttamente in Rete. Ci sono molti musulmani perfettamente integrati, parlo per l'Inghilterra ma non solo, che hanno visto i loro figli cambiare. Erano ragazzi normali, magari anche molto meno religiosi dei genitori. Poi di colpo sono cambiati, si sono fatti crescere la barba, hanno ricominciato a pregare cinque volte al giorno, ma soprattutto a manifestare odio verso l'Occidente. Il motivo spesso sono video di questo tipo. Le persone di cultura araba parlano di radicalizzazione. A noi occidentali ricorda semplicemente un lavaggio del cervello. Ad esempio, dal solo Regno Unito trecento giovani sono andati a combattere in Siria per al-Qaida. E da lì possono tornare indietro addestrati alla violenza... Per l'intelligence di molti Paesi, credo anche per quella italiana, è un problema grave».
Nel libro lei descrive la prassi degli omicidi mirati contro i terroristi. Qual è la sua opinione su questa scelta?
«Io non faccio moralismi, né scrivo libri a tesi, io descrivo la realtà. A livello personale quello che mi sento di dire è che in una guerra tradizionale ci sono eserciti, divise, governi, capitali. In una guerra asimmetrica come quella col terrorismo questo non c'è. Ci sono persone che si fingono civili sino al momento in cui entrano in azione. Spesso uccidendo un sacco di civili veri... Nessun occidentale per di più ha dichiarato guerra all'Islam ma è al-Qaida che ha dichiarato guerra all'Occidente. Ergo è comprensibile che i servizi segreti agiscano in un certo modo: il loro compito primario è difendere i propri cittadini».
Le sue descrizioni delle attività sui corpi speciali sono molto precise...
«Ho iniziato a interessarmi di spionaggio e di corpi speciali quando stavo a Berlino nel 1963. Da allora non ho mai smesso. Conosco persone introdotte in quel mondo. Non sono loro a darmi le informazioni ma mi fanno parlare con chi le ha. Se devono parlare di ordigni inesplosi trovano una persona che abbia fatto tre turni di missione in Afghanistan e che abbia voglia di raccontare. Ovviamente io garantisco sempre l'anonimato... La ricerca di informazioni è la gran parte del mio lavoro. Di norma faccio un libro ogni tre anni.
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