C'è il graphic novel, cioè il «romanzo grafico». Ma c'è anche il novel graphic, il «disegno romanzato». Se da una parte è la letteratura a prender corpo, dall'altra sono i corpi a diventare letteratura. Al posto di una storia che si dipana graficamente (pensiamo all'autobiografico Persepolis dell'iraniana Marjane Satrapi, grande successo qualche anno fa, oppure a unastoria di Gipi, alias Gianni Pacinotti, addirittura in corsa per il prossimo premio Strega), ci sono disegni che, legati insieme da un filo logico, o anche illogico, di pura e assoluta fiction, diventano una narrazione supportata dalle parole. In questo secondo filone eccellono spesso, e la cosa non sorprende, i visionari, i sognatori, colti da autentici raptus artistici in cui disegno o parola, da soli non basterebbero a esprimere la potenza dell'eruzione creativa: devono quindi cooperare per dire e mostrare ciò che l'autore ha da dirci e mostrarci. William Blake agì in questo modo per The Marriage of Heaven and Hell, composto alla fine del Settecento, una rilettura romantica delle profezie bibliche.
E Alfred Kubin (1877-1959) operò con lo stesso metodo quando assemblò L'altra parte, il suo unico romanzo uscito nel 1909, onirico come e più dei suoi angoscianti, infernali, disturbanti disegni nudi e crudi. Spesso succede ai veri geni che il caso dia loro una mano, e così fu per Kubin. Amico di Gustav Meyrink, aveva accettato di illustrare il suo Golem, la cui prima edizione è del 1914. In accordo con l'editore, Meyrink gli mandava un capitolo per volta, e lui ci lavorava sopra. Ma poi accadde che «il mio amico fu preso da un periodo di sterilità artistica che lo bloccò per anni; io aspettai invano con grande impazienza la prosecuzione di quel manoscritto che trattava una materia che mi affascinava molto e, in quegli anni di formazione in cui le cose corrono impetuose, il mio modo di disegnare cambiò continuamente e non potevo più aspettare l'uscita del Golem, così utilizzai i disegni già finiti per il mio romanzo L'altra parte». Così scrive Kubin nel '33 in Come illustro, breve contributo a una rivista di Lipsia che compare ora per la prima volta in italiano in Disegnatore di sogni (Castelvecchi, pagg. 116, euro 12, traduzione di Mariagiorgia Ulbar). Appreso dunque che non sapremo mai quanto di Meyrink ci fosse in Kubin e viceversa, apprendiamo anche, leggendo i suoi articoli degli anni Venti e Trenta qui raccolti, la filosofia del novel graphic, sviluppata dal suo principale esponente, fecondatore dell'espressionismo germanico.
Se L'altra parte è un viaggio nella «parte» della notte, degli incubi, delle paure ancestrali che trovano cittadinanza presso il Regno del Sogno, sorta di enclave posta fra Cina e Russia, e soprattutto nella sua capitale Perla, dove il potere di Patera, ex amico d'infanzia del Narratore, viene insidiato dall'invasore americano Hercules Bell, la «parte» più visiva della produzione di Kubin, fatta quasi esclusivamente di disegni in bianco e nero, diventa in queste prose l'oggetto di un'auto-analisi. «La veglia deve essere il nostro parametro di valutazione del sogno!», esclama l'autore. E «l'individuo è soltanto lo spettro di quella persona vera che si trova a un livello più profondo». Grande ammiratore dell'arte grafica orientale, cinese e giapponese, in cui già i caratteri della scrittura racchiudono simboli, figure, soggetti, concetti, Kubin spiega che il proprio lavoro è scandito da due momenti: prima il «ritmo» della mano che traccia, incosciente, le linee; poi la «costruzione» razionale delle idee. La morte della madre, l'incendio del Ring Theater di Vienna, l'osservazione della natura selvaggia sono le esperienze infantili che lo segnano, che gli regalano, facendolo soffrire, la tavolozza delle sensazioni.
E lui, che visse perennemente nella dimensione del «crepuscolo» propria a Edgar Allan Poe, E.T.A.
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