L'Italia unita è divisa in nome dei libri

La vecchia cara letteratura dei luoghi ha ancora qualcosa da dire. E non stiamo parlando solo del topos del viaggio in Italia, che ha quarti di nobiltà classico-romantica, moderna e postmoderna, da Goethe a Stendhal a Sua Crudeltà De Sade al venerato maestro Alberto Arbasino. Stiamo parlando anche dei libri che riescono a inquadrare un luogo rendendolo un po' meno comune. Tanto per ricordarci che, al di là delle vagonate di retorica unitaria in occasione dei 150 anni, da cui ancora non ci siamo completamente ripresi, l'Italia è una terra dall'insopprimibile, anche se frustrata, vocazione centrifuga.
Fatto che si vede benissimo nell'etno-autobiografia Morte dei marmi di Fabio Genovesi (Laterza, pagg. 140, euro 12). La Versilia è un fantastico serbatoio di mitologie: da nazional popolari, dagli Agnelli, alla Capannina, al nolstalgia-movie Sapore di Mare con Jerry Calà. Genovesi, scrittore autoctono, fa un ritratto finalmente umoristico e sfastidiato della Versilia. «Quando mio nonno era ragazzo, la sera per andare al bar si portava dietro il fucile» scrive. Racconta con compiacimento delle disavventure di qualche vip in villeggiatura al Forte: per esempio di quando Thomas Mann dovette «scappare di notte dal Grand Hotel con moglie e figli in braccio». Descrive una popolazione locale derivata dai rudi liguri apuani, che ha subito la notorietà turistica per pura convenienza e vi si è adattata secondo le modalità della «schiavitù» verso i «signori» bagnanti col solo scopo di non averci mai a che fare davvero.
Invece in Romagna Mia! di Cristiano Cavina (sempre Laterza, pagg. 122, euro 12) il tasso di autocritica è nullo già dal titolo. Il libro è una divertente etno-celebrazione, lontanissima della Romagna balneare che pure ci aveva regalato un capolavoro postmoderno come Rimini di Pier Vittorio Tondelli, tutta puntata sulla Romagna interna, anzi sul paese d'origine (Casola Valsenio) e sull'ambiente familiare di Cavina, scrittore e pizzaiolo, cattolico e anarcoide. Figure memorabili si aggirano e aggiravano, pare, tra i paesi di laggiù: a cominciare dal nonno Gianì, la cui virilità misurava sei fiammiferi svedesi in fila, e che una volta entrò nella vasca per il bagno settimanale, tanto lurido da avere un gambo di sedano (o forse due) sotto l'ascella. E tra storie di coltello e sangiovese, e genealogie dei Casadei, si arriva a na serie di ritratti di «Sconosciuti romagnoli celebri»: dal matematico Gregorio Ricci Cubastro, i cui studi fecero da base a Einstein, al giornalista sportivo Tullio Morgagni, che nel 1909 inventò il Giro d'Italia. Tanto per ricordarsi che la Romagna non è solo Fellini, Carrà e Mussolini.
Invece Il Sole sorge a Sud di Marina Valensise (Marsilio, pagg. 384, 22 euro) è almeno in apparenza un classico reportage. Solo che procede «contromano» da Sud a Nord: Comincia in Sicilia e si conclude a Napoli. Altro fatto singolare, la Valensise è una meridionale (calabrese di Polistena) che non nasconde un certo coinvolgimento nella descrizione dei luoghi. Ne viene fuori, per esempio, una Sicilia enormemente instabile tra tentativi di riscatto e guai secolari. A un certo punto lo scrittore Ottavio Cappellani, intervistato dall'autrice dice: «dovesse finire la coca, la Sicilia imploderebbe». Riguardo alla Calabria, già solo l'etimologia del nome (deriva dal greco Kalos= bello e Bryo= abbondo) fa pandant umoristico con la situazione civile e legale della regione. Il giudice Nicola Gratteri, intervistato dalla Valensise, fa rabbrividire dicendo: «La 'Ndrangheta non finirà mai», e ribaltando le celebre citazione di Giovanni Falcone, secondo cui la mafia, come fenomeno umano, avrebbe un inizio e una fine. Un po' di luce Valensise la mostra descrivendo l'impreditrice della liquerizia Pina Amarelli a Rossano.

E con l'arrivo in Puglia ci sono le considerazioni del regista Gennaro Nunziante (quello dei film di Checco Zalone): «Le culture non andrebbero promosse, ma soltanto raccontate, perché le promozioni sono dettate da ego spropositati». Ci voleva un regista comico per fare giustizia di tanta retorica culturale che si sente in giro.

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