Stefano Santachiara va alla ricerca di storie, di incroci, di sentieri poco battuti, di cose che non gli tornano e lo lasciano smarrito. La sua stessa vita qualche volta può assomigliare a un romanzo, come capita a quei personaggi che non si lasciano imbrigliare e si muovono ai margini, nelle terre di nessuno, potendo contare soltanto su se stessi. È uno scrittore e un saggista che trova la forza di appassionarsi. Non è stato ancora toccato dalla disillusione e forse neppure dal disincanto. Ama immergersi in profondità e si innamora delle protagoniste dei suoi scritti, perché sono donne che possono avere tutto, ma non hanno nulla da perdere. È successo con Salomé, il romanzo ispirato alla scrittrice e psicanalista di origine russa. Lou Andreas-Salomé è una tempesta, dove arriva spariglia le carte, ti tenta, scappa e si nasconde come una sorta di Angelica, solo meno carnale (ma poco) e molto più intellettuale. A diciannove anni fa perdere la testa al suo precettore e il padre le fa cambiare aria. Va prima a studiare a Zurigo e poi si trasferisce a Roma, per il clima. La tisi, male del secolo, la accompagna. Qui conosce Paul Rée. Ci convive ma non lo ama. Paul parla di lei al suo amico Nietzsche. Sarà il terzo uomo a chiederla in sposa e ottiene il terzo no. Il dolore trova sfogo in un capolavoro: Così parlò Zarathustra. Il matrimonio con Friedrich Carl Andreas non la cambia. Poi trova finalmente l’amore. È l’incontro con Rilke. Rainer Maria Rilke e il Rainer è un’invenzione di Salomé. Quattro anni insieme. L’ultima lettera di lui è per lei. A Santachiara interessa soprattutto il rapporto con Freud, lì dove c’è il principio della psicanalisi. Le donne di Santachiara non hanno paura di sfidare l’oscurità.
È il bosco dove si perde Monika, la protagonista di Corpo, che si avventura dove la razionalità finisce ascoltando “Le chic et le charme” di Paolo Conte. Non è detto che ne uscirà viva. Non hanno neppure radici. Non le vogliono. Non le cercano e quando il mondo che le circonda si fa troppo stretto scelgono la fuga. È una fuga senza redenzione, che nel qui e adesso non può trovare tregua e le porta alla ricerca di quella terra dove gli sfiniti trovano pace. È quella che accade a Elena, che si prende la scena nell’ultimo lavoro di Santachiara. È “La purezza del serpente”. Il passo è quello di un feuilleton postmoderno. Ricorda, in apparenza, il romanzo d’ appendice. La Grande Guerra è appena finita. Siamo nel 1918 e Elena dovrebbe avere un futuro aperto davanti a sé. L’orrore, l’apocalisse, è alle spalle e servirebbe davvero poco per sentirsi magari non felice, ma almeno con una prospettiva, un’occasione, una possibilità. Non è solo lo spirito dei tempi a tenerla prigioniera. C’è la vita, quella quotidiana, quella che le tocca condividere con un marito, Goffredo, troppo ricco, troppo potente e soprattutto troppo squallido. Elena ricorda le protagoniste di un saggio, del 2016, di Santachiara: “Social femminismo. Rivoluzioni storiche delle donne, repressione e conservazione al maschile”.
È la stessa ansia di sfuggire a una storia già scritta, a un mondo dove il maschio scrive regole e traccia i confini di cosa è lecito e opportuno. È la rivolta di Elena, che si specchia in Chiara e la rincorre, e la cerca, pensando che un altro orizzonte sia possibile, in un luogo dove il sogno sia un diritto inalienabile, dove non sia un dovere tradire i giuramenti sottoscritti da bambini, dove esistono i draghi e la magia non ha nulla di bizzarro, di straniante, di pernicioso, perché non è qualcosa di contronatura, ma quotidiano e naturale. È un viaggio, dall’Elba alla Versilia, da Firenze al mare, alla ricerca della bellezza come deragliamento dei sensi e, allo stesso tempo, di recupero di uno spirito animale, come simbolo, patrono, divinità.
Tutti corrono, tutti si cercano, tutti finiscono per scappare, incrociando destini e ossessioni. Come in un gioco di tarocchi, in una sfida tra moralismo e libertà. “Quella è la bocca del santo inquisitore capovolto che rigurgita cenere”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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