Cultura e Spettacoli

«Mamma, un messaggio di Stalin per te»

Luigi Dell'Aglio racconta la storia di suo padre, prigioniero nei campi di prigionia sovietici e fascista convinto, e la feroce battaglia di sua madre, antifascista, per farlo tornare a casa. Un'impresa solitaria e titanica, portata avanti contro tutto e contro tutti, culminata in un messaggio radiofonico di Stalin alla radio.

«Messaggio del Maresciallo Stalin per un'insegnante italiana, Alda Dell'Aglio. Suo marito, capitano Giovanni Dell'Aglio sta bene e gode ottima salute. Firmato: Josif Stalin, segretario generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica».

É una voce femminile, robusta e squillante a leggere questo messaggio in diretta da Radio Mosca, in lingua italiana, alle 23,05 del 28 maggio 1947. Un annuncio improvviso, una comunicazione diretta dell'uomo più temuto del mondo, una carezza sonora, una fragorosa epifania di speranza e di vita che irrompe nelle attese di una famiglia italiana, alla disperata ricerca di notizie sulla sorte di un padre, prigioniero in Unione Sovietica, dopo la disastrosa spedizione dell'Armir.

Inizia così «Mamma, un messaggio di Stalin per te», (Edizioni Progetto Cultura, il libro può essere richiesto o prenotato nelle librerie Feltrinelli e in tutte le librerie italiane) toccante opera di Luigi Dall'Aglio, giornalista de Il Giorno e figlio del capitano Dell'Aglio, che 65 anni dopo ripercorre una drammatica vicenda personale intrecciata con la grande storia e la grande tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Un libro con il quale l'autore vuole «pagare un debito morale nei confronti dei suoi genitori» ma anche spiegare psicologie e ideologie contrapposte, con grande onestà intellettuale, uscendo fuori dai canoni consueti.

Il capitano Dell'Aglio è un ufficiale italiano dell'Armir, l'Ottava Armata Italiana in Russia. Partito come volontario indossa la divisa di centurione della milizia fascista. Fatto prigioniero, rifiuta di togliersi la camicia nera, anche nei più duri gulag di punizione. La moglie, invece, convinta antifascista, è contro la guerra e sa che il marito è il prigioniero più a rischio per la sua testardaggine, per la fierezza e i suoi no alle scuole di «rieducazione politica». Eppure il capitano resiste, nonostante sia ridotto a uno scheletro di 35 chilogrammi non vuole darsi per vinto e riesce a conquistare la segreta stima dei suoi carnefici . D'altra parte di sofferenza ne ha vista tanta in quell'inferno di gelo, fatica e stenti. Solo per dare una cifra, a inizio '43 nel giro di due mesi, dei 100mila soldati italiani dell'Armir finiti nelle mani dell'Armata Rossa, ne muoiono 70mila. Una strage consumata in tempi ridottissimi a causa del freddo, della malnutrizione, dei maltrattamenti.

Le notizie che arrivano in Italia da quell'inferno bianco sono poche, confuse, contradditorie per migliaia di famiglie alla ricerca dei loro parenti. Una latitanza delle istituzioni figlia anche del freddo calcolo politico della classe politica dell'epoca, Pci in testa. Se il capitano Dell'Aglio continua il suo braccio di ferro con la sopravvivenza, a migliaia di chilometri di distanza, sua moglie non lascia nulla di intentato. Benchè sconsigliata dai funzionari del Pci, scrive una lettera e una supplica a Stalin. E raggiunge il suo obiettivo. Ad Alda Dell'Aglio è indirizzato quel messaggio di Stalin che rassicura e stupisce. Un gesto clamoroso e inedito mai accaduto prima. Ma perché il temibile leader sovietico invia un messaggio tanto personale e diretto, oltretutto in diretta radiofonica? Perché si spinge in territorio sconosciuto fuori dalle sue consuetudini? Il motivo va ricercato nella strategia imperialistica dell'Urss che, al di là degli accordi di Yalta e del perimetro assegnato, non ha affatto rinunciato al sogno di estendere la sua influenza sull'Europa Occidentale. Stalin vuole conquistarsi simpatie.

Quindi emana un decreto non troppo conosciuto, lo «Stalin pricaz», il decreto salva-italiani. La parola d'ordine è: fermare la strage. «Nessun prigioniero italiano deve più morire» decreta. Una sorta di divieto ma emanato secondo la «disciplina» staliniana. Così scampano la morte in diecimila, gli ultimi ancora in vita. Una generosità calcolata, certo. Ma che impone ai carcerieri di mutare radicalmente il loro atteggiamento verso i nostri soldati, a cui sono vietate anche le preghiere. Il governo di Mosca ha un progetto: reclutare e preparare politicamente una folta schiera di ufficiali italiani che, al ritorno in patria, dovranno illustrare attivamente il programma politico, economico e sociale dell'Urss. Tra la pianificazione e la realizzazione c'è però di mezzo la disponibilità a farsi rieducare, ovvero la coscienza e il libero arbitrio di uomini e ragazzi, magari disillusi dal fascismo che li ha coinvolti in una spedizione assurda e mal pianificata, ma poco disposti a una fulminea revisione critica delle loro idee.

Alda, comunque, alla fine può riabbracciare il marito, rimpatriato. Lei ha vinto il suo «braccio di ferro» con il Generalissimo. Perde però quello con il destino. Ha lottato con tutte le sue forze. Quando raggiunge la meta, le sue difese immunitarie crollano. E muore di cancro, a quarant'anni.

Un giornale francese scrive: in questa guerra, nessuna donna ha fatto di più per riavere il suo uomo.

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