Il caso MAXXI - il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, a Roma, a rischio commissariamento - non rappresenta che l’apice del sistema fallimentare con cui viene gestito l’apparato museale in Italia, tra altissimi costi di gestione e offerte che incontrano scarso gradimento, se non indifferenza, da parte del pubblico. Sarebbe ingiusto parlare di sperperi o cattiva gestione, perché la questione è purtroppo molto più grave: il MAXXI è nato vecchio, senza identità e superato da tempi in cui per sopravvivere bisogna immaginare spazi piccoli, fluidi, con costi di gestione contenuti, dove ti restino quattrini per sperimentare e investire sull’innovazione.
Dopo dodici anni di cantiere e diversi governi si apre a Roma nel maggio 2010 un museo inadeguato, un moloch esibizionista per compiacere l’ennesima archistar di turno, Zaha Hadid, la cui parcella vale quanto il Pil di un paese dell’Africa. Come chi si compra la Ferrari e poi non ha i soldi per la benzina, al MAXXI non resta che vivacchiare, gestito da funzionari solerti e onesti ma privi di carisma e di capacità contrattuale, con scelte ripetitive (le solite rassegne sull’Arte Povera), sfibrate, proposte di nicchia, mostre di terza battuta che arrivano giusto prima di finire nei container, buon ultima quella sugli indiani arrivata a Roma tre anni dopo Londra.
Preoccupa che il presidente Pio Baldi e i consiglieri d’amministrazione insistano nel parallelo con omologhe realtà europee e americane, dove espongono Damien Hirst o Gerhard Richter, Helmut Newton o Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat o Maurizio Cattelan. Certo, sono operazioni costosissime, ma anche le uniche in grado di attrarre sponsor e guadagnare dalla bigliettazione. Per colpa della miopia di chi dirige le nostre istituzioni, da anni l’Italia è esclusa dal giro dell’arte che conta, ed è molto più semplice lamentarsi dei tagli e attaccare il ministro di turno piuttosto di recitare il mea culpa e farneticare di bookshop e ristoranti, che da soli non possono salvare i musei. La verità è che il MAXXI ci si va una volta nella vita per vedere l’edificio e non le mostre o la collezione, prevedibile e un po’ clientelare, mentre alla Tate o al Pompidou ci si torna spesso, perché c’è sempre qualcosa da vedere.
Della possibile decisione di commissariamento il responsabile è il ministro Ornaghi. Uno dei suoi vituperati predecessori, Sandro Bondi, si era speso per garantirne la sopravvivenza nonostante non ne condividesse la linea e avesse intuito con subito che prima o dopo il bubbone sarebbe esploso. Ai tempi del governo Berlusconi non passava giorno senza un attacco dell’opposizione, senza l’articolo indignato di Salvatore Settis su Repubblica contro i barbari che uccidono la cultura, mentre oggi c’è persino imbarazzo a contraddire i tecnici che si mostrano più incompetenti e meno lungimiranti dei politici.
In ogni caso al MAXXI non è stata finora messa a punto un’offerta adeguata alla improbabile grandeur dell’edificio. La scelta di un museo senza testa, senza una vera direzione di valore e comprovato profilo internazionale, ha francamente dell’assurdo. Non aver voluto né un grande manager (uno di quelli che alza il telefono e trova i soldi) né un curatore di prestigio (Carlos Basualdo passa più tempo a Filadelfia che a Roma pur prendendo il doppio stipendio, ma forse non vuole mettere in ombra i funzionari...) suona come una decisione suicida ma consona al costume romano di far cultura negli uffici dei politici e nei salotti. Ci chiediamo se la presenza di Larry Gagosian a Roma, il più importante gallerista al mondo, non avrebbe potuto maturare una qualche forma di collaborazione.
Ma ai responsabili dei musei piace di più gestire i propri affari senza ingerenza alcuna. Continuando così chiuderanno, oltre al MAXXI, il Castello di Rivoli, il MADRE a Napoli, il Riso a Palermo.... Ora che non c’è più la destra cattiva, di chi è la colpa?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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