Padre Brown non si troverebbe a suo agio nellItalia di oggi. Una delle ragioni per cui detective e poliziotti italiani - quelli dei romanzi e delle fiction televisive, beninteso - raggiungono dopo qualche puntata lo stesso appeal di un salmone bollito è che prima o poi arriva per tutti loro il momento in cui si aggiustano il cappello sulla fronte e proferiscono con sguardo tenebroso, a se stessi e al pubblico: «Ah, io sono la Legge!» (e qui immaginate pure Raoul Bova o Luca Zingaretti). Solitari o maniaci sentimentali, piccolo-borghesi o scienziati pazzi, alla fine cè sempre la Legge - o la Morale, o la Contromorale, o la leggendaria «onestà di fondo» - a farli passare da «eroi», etichetta il più delle volte volutamente sbiadita, ché da noi lo stazzonato spirituale non esce mai di moda.
Con Gilbert Keith Chesterton e con padre Brown, invece, è tutta unaltra cosa. Con questi due - rispettivamente autore (Londra, 1874 - Beaconsfield, 1936) e personaggio (primo avvistamento in letteratura intorno al 1911) - si gode di singolare piacere, poco retorico, poco folcloristico e poco soggetto alle risoluzioni emotive o commoventi: quello dellintelligenza tout court, intesa come quel genere di ratio naturalis tipica di un allievo di Tommaso dAquino che passa i momenti liberi (dalle indagini) a chiedersi quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo. Insomma, Chesterton è una bella passeggiata nei chiostri della mente.
Cè da dire, però, che le avventure di padre Brown latitavano da tempo sugli scaffali delle librerie, e quel poco che si trovava era in una traduzione approssimativa o addirittura tagliata di interi passi (sebbene tra i traduttori/curatori ci fosse pure Emilio Cecchi). Da tre anni leditore Morganti sta recuperando questo gap con nuovissime traduzioni integrali: ha iniziato nel 2007 con Il candore di Padre Brown, ha proseguito con La saggezza di padre Brown e ha appena dato alle stampe Lincredulità di padre Brown (pagg. 288, euro 15). Tutti e tre i volumi sono accompagnati da sostanziose note a pie pagina che permettono di entrare senza difficoltà nello stile narrativo di GKC (così chiamano ancora Chesterton in ambiente anglosassone), di cui Morganti, dopo il romanzo Uomovivo, a luglio darà alle stampe La sfera e la croce, altra narrazione «teologica e senza padre Brown», con il professor Lucifero e il monaco eremita Michele che se la vedono dialetticamente intorno ai temi della Fede e della sua assenza. Quasi un Chesterton mainstream. Lintera operazione editoriale è meritevole: fino adesso è andato per la maggiore il GKC saggista, trascinato anche dalla moda giornalistica dell«ateismo devoto», ma il Chesterton narratore è certo più divertente, sebbene i temi siano sempre gli stessi (si possono riassumere tutti attraverso tre aforismi dellautore: «Il mondo è pieno di idee cristiane impazzite», «Una persona va amata prima che divenga amabile», «Se cè qualcosa di peggio dellodierno indebolirsi dei grandi principi morali, è lodierno irrigidirsi dei piccoli principi morali»).
Ma torniamo a padre Brown, indimenticato Don Camillo nelle lande dellateismo (quello vero, coriaceo e atarassico): intere generazioni di scrittori inglesi - pensiamo a Il potere e la gloria di Graham Greene - si sono formati spiritualmente e artisticamente sulle sue avventurose indagini. Per non menzionare gli attori che lhanno portato sul grande schermo: in Francia nel 1954, Alec Guinness, mentre interpretava padre Brown, si convertì al cattolicesimo. Più impermeabile alle derive religiose del metodo Stanislavskij, anche il nostro Renato Rascel ci regalò un memorabile padre Brown allinizio degli anni Settanta, in una serie televisiva in cui cera anche Arnoldo Foà nei panni del ladro Flambeau.
A ogni modo, il suo fascino più vivo, questo sacerdote e investigatore cattolico lo sprigiona ancora dalla pagina stampata. Nei racconti di Lincredulità di padre Brown troviamo la dolcezza di Don Matteo (Terence Hill nellomonima serie Rai) mescolata al sottile intelletto di Ratzinger, con laggiunta dell«ingrediente Chesterton» per eccellenza: lo humour, ovvero, per dirla con le sue parole, «la stupefatta esultanza di esistere», talora declinata in amarezza, ma sempre con molta salutare autoironia. Come nel racconto La resurrezione di padre Brown, dove il sacerdote, provvisoriamente missionario in Sudamerica e assurto a una certa misteriosa, eteroguidata celebrità, è coinvolto in un intrigo pubblicitario: unazienda tedesca di vino porto con proprietà medicamentose farà finta di ucciderlo per poi farlo resuscitare grazie alla miracolosa bevanda. «Ma i miracoli», dice padre Brown mentre indaga sui suoi assassini, «non si trovano così a buon mercato».
È unaccusa neanche troppo velata allAmerica e ai miraggi del «tutto acquistabile», salvezza spirituale compresa: Chesterton si era recato più volte negli Stati Uniti per conferenze e presentazioni e conosceva bene questo tipo di «mercato», tanto da farne la caricatura con mano sicura. In La freccia del cielo il miliardario Brander Merton crede di potersi mettere al riparo da tutto e tutti blindandosi in una casa costosissima e finisce ucciso da una «semplice» freccia. Situazione che ricorda, per opposizione, quella del racconto Il pugnale con le ali, dove un cattivo intelligentissimo, un vero genio del Male, incarna perfettamente la teoria secondo cui «lomicidio, alla fine, viene commesso per un atto di libertà», cioè perché Dio ci ha concesso il libero arbitrio. Constatazione terribile. Più invecchiava, più Chesterton pensava, con Kant, che dal legno storto dellumanità difficilmente si può ricavare qualcosa di dritto.
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