Nel grande schermo della letteratura

I trentatré racconti - le «trentatré inquadrature» - date in questi giorni alle stampe da Luca Doninelli (L’incendio dei sogni, Garzanti, collana «Narratori moderni», pagg. 137, euro 14) vogliono rappresentare un tributo all’arte del cinema. Nel prologo, compare persino un critico cinematografico molto notturno che accoglie il visitatore - lo stesso Doninelli? - con una tazza di tè, e dopo averlo fatto accomodare su una poltroncina gli chiede: «Allora, di cosa vuole parlarmi?».
Se è vero che l’immaginario proveniente dal grande schermo ha ormai travolto quello letterario, o religioso, o mitico, il critico cinematografico dovrà necessariamente occupare il posto dello psicanalista, del mago che ci mostra quali sono le nostre radici, riconducendoci alla nostra misconosciuta origine. L’ufficiale di marina che ha un alterco con il sottoposto; il gruppo di adolescenti allegramente «bruciati» lanciati a folle velocità sulla macchina del papà, poco prima della curva fatale; un uomo e una donna che si parlano a letto senza riconoscersi: forse la nostra «casa», come direbbe Martin Heidegger, è in queste sequenze, e in altre simili, più di quanto non sia rintracciabile, mettiamo, nella storia del Risorgimento o nelle pagine di Dante.
È dunque con un sospiro di sollievo che ci accorgiamo ben presto - e la sorpresa che accompagna la scoperta ha qualcosa di profondamente rassicurante - che se qualcuno tentasse di trasformare i racconti di Doninelli di nuovo in sequenze, fotogrammi, insomma in cinema, risalendo il cammino percorso dall’autore, l’operazione risulterebbe impossibile. Nei racconti c’è qualcosa di più, qualcosa che solo la scrittura riesce a trasmettere.
L’incendio dei sogni sarà pure un tributo al cinema, ma è un cadeau empoisonné, un regalo avvelenato, perché denuncia un limite pressoché invalicabile della settima arte: l’incapacità di costruire un discorso realmente obliquo, di staccare l’oggetto dal modo in cui esso ci condiziona. Ecco, si sostiene sempre più spesso che la narrativa contemporanea è stata devastata dall’introduzione nel romanzo delle strutture cinematografiche, che i romanzi sono sempre più spesso film scritti, che la letteratura mondiale è largamente contaminata dalla lingua del cinema.

E questo è vero, ma solo per la letteratura di consumo.
E niente come questi folgoranti racconti dimostra che il residuo, per così dire, letterario ha - purché la letteratura la si prenda sul serio - una forza ed un potere ineguagliabili.

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