«Ho pubblicato ventidue libri e sento che ho finito la creatività narrativa. Ho sempre scritto solo perché ne sentivo l'esigenza interiore e per molti anni questa esigenza è stata forte. Adesso la fase è esaurita». Non è la prima volta che Susanna Tamaro si dice stanca della letteratura di finzione. Chiese una pausa di riflessione nel 2001, pausa che, dopo due raccolte di racconti, produsse nel 2006 Ascolta la mia voce , il seguito di Va' dove ti porta il cuore . Dichiarò nel 2009 che si era chiuso il «ciclo del dolore», dopo Luisito . E l'ultimo romanzo per adulti è stato Per sempre , ormai tre anni fa. Poi ha pubblicato una peculiare autobiografia, Ogni angelo è tremendo , e al principio di quest'anno il suo esordio mai pubblicato prima, Illmitz (Bompiani). Stavolta l'autrice da venti milioni di copie pare davvero decisa a chiudere per sempre i rapporti con la narrativa. Il suo romanzo d'addio si chiama Salta, Bart! (Giunti, pagg. 256, euro 14), ed è il sesto dedicato ai ragazzi, almeno all'apparenza. Storia di Bartolomeo Leonardo Atari Commodre, dieci anni, della gallina Zoe, di un anziano cinese e di un viaggio di formazione, Salta, Bart! è una storia traboccante di messaggi e metafore, in cui a darci una lezione è di nuovo un ragazzino, un solingo, un outsider che non disdegna misteri e risate.
Chi è Bart?
«Il figlio di una gestazione lunghissima, che nasce da Cuore di ciccia e Il cerchio magico . Ci ho messo anni per concludere la sua storia. Un bambino dei nostri tempi, buono, gentile, ubbidiente, che vive nella sua casa domotica in profonda solitudine, i suoi spesso assenti, circondato da una tecnologia in cui di fondante c'è poco».
E incontra la gallina Zoe.
«In assoluto il personaggio che nella mia vita mi sono divertita di più a scrivere. È una gallina fuggita da un allevamento intensivo e le assonanze della sua vita con quella di Bart sono anche troppe: per lei coercizione da reddito, per lui coercizione tecnologica. Ma Zoe è anarchia, libertà, contatto fisico, emozione, insomma vita reale».
Poi il cinese Tien Lu.
«È la figura classica delle fiabe, il mago, il saggio che ti aiuta con discrezione a trovare il punto in cui impari a cambiare. È ispirato in parte al mio maestro di arti marziali, alla mia passione per il mondo del taoismo».
Tutto questo per raccontare la contemporaneità.
«Per comprendere con più lucidità il mutamento antropologico, che cosa tenere o buttare di un presente al cui confronto Il Grande Fratello è roba da educande: c'è una app per sapere se hai dormito bene. Ormai siamo automi».
Perché mettere messaggi per adulti in un libro per ragazzi?
«Perché permette un livello di fantasia pazzesco».
Il romanzo classico ha sparato tutte le cartucce?
«Sicuramente sì. Si è smarrito. Tutti scrivono la loro autobiografia, raccontano la propria vicenda familiare o una variazione sul tema, il narcisismo ha preso il posto della letteratura, che si è autofocalizzata. Un romanziere inventa, io ho sempre inventato. Lo scrittore, se non è Sant'Agostino, deve essere Zelig: compenetrare ogni persona uscendo da se stesso, per essere universale. Ho difficoltà a trovare libri che mi appassionino».
Anche nella letteratura per ragazzi ci sono grandi mutamenti da Harry Potter alla sick-lit di Tutta colpa delle stelle ...
«Io Braccialetti rossi non lo leggerei nemmeno se mi pagassero. Invece gli adolescenti vanno pazzi per la malattia, il tumore, la morte. Perché questo li porta al senso profondo della vita: per relazionarti con una persona malata devi sviluppare tutte le tue qualità umane, una affettività responsabile che il mondo offre sempre meno. C'è una crisi educativa per cui i bambini non sanno scegliere tra bene e male: puoi decidere di essere una carogna, ma devi esserne consapevole, se no navighi in follia, falsità, indistinto. Il fantasma spettrale della morte, potente, devastante, è sempre dentro di noi, ma nessuno ne parla ai piccoli. Negli adulti c'è una rimozione».
Eppure lei ha deciso di smettere con i romanzi.
«Basta romanzi. Volevo chiudere con Bart e sapevo che sarebbe stata una chiusura consapevole. Questo è un romanzo vero, un libro importante, che ha tanti livelli di lettura e molto faticoso da ideare. Ora al massimo potrò togliermi degli sfizi».
Tipo?
«Qualche piccolo saggio di relax sulla vita delle api, ma soprattutto pamphlet. Siamo satolli di storie senza lingua, senza profondità, fatte solo di plot. A me il plot non interessa, la realtà è mille volte meglio dell'abilità di trama: alla terza trama abile io mi stufo di leggere, ho di meglio da fare».
Che genere di pamphlet?
«Sul fatto che le femministe tacciono, per esempio, ma le donne vengono trattate come le mucche da allevamento: fecondate artificialmente, rifecondate, corrette. Sui danni della tecnologia. Sugli animali geneticamente modificati».
Una volta si sarebbe chiamato «impegno».
«E infatti: che fine hanno fatto gli scrittori impegnati? Io non avrei scritto nemmeno una riga se non avessi voluto fare chiarezza su cose che sembravano scontate trent'anni fa e ora sono state divorate dal politicamente corretto. L'impegno è fondamentale, mentre tutto è autoreferenziale».
Lo dice lei, che poi però scrive libri per ragazzi.
«C'è molto più engagement nei libri per ragazzi: quello che leggi da bambino ti forma per sempre».
Il suo ideale di scrittore impegnato è un clandestino, come il protagonista di Illmitz , come Bart.
«Perché bisogna essere fuori da tutto per essere coscienza critica. Non mescolarsi con nessun potere».
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