I drammi della storia visti da Jaume Cabré

 I drammi della storia visti da Jaume Cabré

da Mantova

«Q uesto, contrariamente a quanto si potrebbe pensare non conoscendo la situazione, è un evento che al popolo permetterà di chiedere la secessione a voce ancora più alta. Quello che scrivono i giornali europei e stranieri in genere è una versione distorta della verità. Questi soldi non sono un aiuto, ma si tratta di denaro che lo Stato deve alla Catalogna. Anzi, è una piccola somma rispetto a tutto quello che dovrebbe arrivare dalla Spagna». L'orgoglio identitario di Jaume Cabré, ospite a Mantova del Festivaletteratura ieri e oggi (ore 15, Chiesa di Santa Maria della Vittoria) è pari quasi alla sua passione per la scrittura, come dimostra il commento al default della Catalogna autonomista avvenuto alla fine del luglio scorso, in seguito al quale la Generalitat, il governo autonomo della regione, ha chiesto a Madrid di accedere a ogni linea di credito per coprire un «buco» da 42 miliardi di euro.
La lingua e la storia catalana sono per lo scrittore, docente universitario e sceneggiatore di Barcellona, classe 1947, una ragione di vita, cui fa costante riferimento nei suoi romanzi. Dall'ultimo, Io confesso (Rizzoli, pagg. 784, euro 19,50) epopea ispirata appunto alla storia del suo Paese, in cui un negozio nel cuore della vecchia Barcellona, pieno di oggetti e manoscritti rari è il nido dell'intelligente Adrià, virtuoso del violino, coinvolto in un'avventura in cui il prezioso Storioni diviene uno dei testimoni delle peggiori violenze della Storia, ai precedenti, tra cui L'ombra dell'eunuco e Signoria (entrambi La Nuova Frontiera). «Con la scrittura non perseguo un'ideologia o la dimostrazione di una tesi», ci spiega Cabré, «Ma la descrizione dell'essere umano. Mi interrogo, senza dare risposte. Perché non le ho».
E così la Storia, che tanta parte ha nei suoi romanzi, passa attraverso le vite degli individui segnandole per sempre ma senza che lo scrittore la giudichi mai: «In Io Confesso, cerco di rendere la tristezza provocata dal franchismo creando un'atmosfera grigia in cui cresce il bambino Adrià: la sua infanzia poco protetta, imprigionata, circondata da una religiosità ufficiale, i suoi sforzi per non sentirsi strano davanti agli altri, sebbene si possa considerare una persona speciale».
I romanzi di Cabré sono anche un costante omaggio ad altri romanzi, con riferimenti e citazioni usati in modo narrativo: «Proust e Mann sono le voci che mi hanno accompagnato durante la scrittura. E una volta consegnato il romanzo, ho sentito il vuoto. Allora mi sono messo a leggere disperatamente Tolstoj, che non conoscevo. Le carte, i diari personali. E ho scoperto che era un personaggio ambivalente: una profonda devozione al sociale dentro l'animo di un figlio di puttana con cui era impossibile convivere».
E questo lo ha distratto dallo spossessamento crudele imposto dalla chiusura di una storia la cui composizione è durata otto anni: «Quando ho finito il romanzo, sono svenuto, ho avuto problemi di vista. Non ho opinioni su chi scrive libri-twitter, ognuno fa quello che vuole.

Ma per quanto mi riguarda, ormai so che quando inizio un romanzo nuovo, la cosa sarà lunga e a volte questa fatica disorienta. A metà di Io confesso, ho pensato: “Ma perché non faccio il poeta, così me la sbrigo in quattordici versi?”».

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