Non si scrivono più lettere. È un dato di fatto e anche un peccato, una civiltà letteraria che è scomparsa e una barbarie elettronica che ne ha preso il posto. Scrivere contemplava un pensiero e un interlocutore, una scelta e uno stile, in alcuni scrittori una scommessa sul futuro: essere letti per non essere del tutto morti. Il secondo volume della corrispondenza fra Jacques Chardonne e Paul Morand raggruppa 855 lettere, quella fra Morand e Roger Nimier oltre quattrocento ( Correspondance , a cura di Philippe Delpuech, 46,50 euro; Correspondance , a cura di Marc Dambre, 34 euro, entrambi Gallimard). Insieme fanno mille e passa pagine a stampa, coprono il decennio dei Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta, raccontano la Francia dell'epoca meglio di un libro di storia.
Chardonne e Morand, nati ancora nell'Ottocento, restano a tutt'oggi fra i migliori prosatori novecenteschi d'oltralpe. Nimier, morto appena trentasettenne nel 1963, è una di quelle figure di agitatore-impresario culturale, romanziere e giornalista, sceneggiatore e direttore di collane editoriali, di cui si continua in patria a celebrare la leggenda perché se ne avverte la mancanza. La loro è una triangolazione del tutto particolare, un gioco di sponde dove i due più anziani, accusati di collaborazionismo durante la Seconda guerra mondiale e epurati nel successivo dopoguerra, trovano nel più giovane interlocutore un difensore nel nome della letteratura e non dell'ideologia, dell'arte e non della politica.
Le Grand d'Espagne si intitola il pamphlet con cui quest'ultimo intende fare tabula rasa delle «liste di proscrizione» della Liberazione e nel riceverne copia Morand ne coglie subito l'importanza e i possibili sviluppi: «Eccellente. Le vostre vittime cadono senza soffrire, due colpi di idee alla nuca. Prego perché continuiate così. Cercate di non fare del giornalismo e di non sposare una donna che ha bisogno di vestiti! Ve lo auguro dal fondo del cuore perché ho scommesso su di voi e non voglio perdere».
Rispetto a Chardonne, Morand e Nimier hanno più cose in comune, una sorta di specchio in cui il più giovane si riconosce nel più vecchio e viceversa: «Gli davo il mio gusto di vivere, mi dava la sua voglia di lavorare» scriverà il primo alla morte del secondo, schiantatosi in strada sulla sua Aston Martin. «Gli avevo fatto capire che la sensualità può essere intellettuale; mangiare lo annoiava, la cucina lo divertì; beveva a casaccio, gli ho fatto leggere la lista dei vini»... Libri, gastronomia, enologia, sport, macchine di lusso e da corsa, ironia e giochi di parole, programmi di viaggi e indicazioni di alberghi animano uno scambio epistolare in cui «padre e figlio» spesso si scambiano i ruoli: il più giovane fa da tutore letterario al più vecchio, questi si fa complice delle sue passioni, la velocità, le donne, il gusto della solitudine, ironicamente consapevole dei quarant'anni che li separano: «Mi tocca abitare il corpo di un anziano signore: Non è il mio; non riesco ad abituarmici».
Appartato, riservato, meno accessibile, il cuore blindato nello stile, Chardonne, «il solitario», «l'eremita», come gli altri due lo hanno ribattezzato, coglie in quell'amicizia qualcosa di più di una somiglianza. «Era fisicamente il vostro doppio, la stessa carne. Soltanto, egli era rivolto verso la morte, una semi-asfissia, e voi verso la vita. Un talento meglio disegnato lo avrebbe salvato. Non era costruito, e voi costruito in ferro». L'affetto, la stima, non ne velano il giudizio: «Ci si crea un falso personaggio, che ti si incolla così bene che il tuo vero io, il solo che conti, sparisce, come se non fosse mai esistito. Così, il vero reale finisce per sembrare falso. Il suo dramma era il vuoto e da qui la sua disperazione e in questo era sincero».
Pur nella diversità, Chardonne e Morand marciano sulla stessa lunghezza d'onda: sono due pessimisti, ovvero «i soli che amino la vita», soffrendo proprio perché troppo dalla vita si sono attesi. Sanno che «la qualità intimidisce e anche offende» e che in un uomo «il peggio non sono i suoi crimini, ma le sue piccole porcherie». Chardonne si definisce «un ultrà dell'indifferenza», Morand si rende conto che «scrivere è imparare a leggere. Alla fine della vita, bisognerebbe tornare a scuola: L'autentico dialogo dei morti, gli scomparsi, con chi si appresta a scomparire; i morti parlano con più chiarezza a chi è loro prossimo».
Il romanziere per eccellenza della coppia, della provincia e dei sentimenti, si ritrova a discutere con il narratore degli amanti clandestini, il cantore vagamondo delle lenzuola dei grandi alberghi e delle sleeping cars e entrambi si ritrovano d'accordo nel dire che «i soli uomini che conoscono le donne, sono i pederasti; perché sono delle donne; vanno diritti a ciò che le ferisce e a ciò che a loro piace; non cadono in alcuna trappola. I veri uomini sono sempre bestie e si lasciano sempre prendere, soprattutto dalle più stupide, perché impiegano eternamente gli stessi mezzi primitivi». E del resto, «non bisogna cercare l'amore in una donna. Non ne conosce che uno, quello per i suoi figli; e non ha pace che se può ridurre l'uomo a essere uno dei suoi figli. Essenzialmente dominatrice».
Seduti come se fossero nella galleria di un teatro, i due osservano dall'alto la scena letteraria francese del tempo: gettano proiettili di carta nella platea dove siedono Mauriac e Sartre, salutano i fantasmi di Proust e di Drieu, si commuovono per la scomparsa di Céline e di Cocteau, trovano balzacchiana la morte del presidente Kennedy, si indignano per il muro di Berlino dietro cui si seppellisce viva quella mezza Europa per la cui difesa si era fatta la Seconda guerra mondiale.
Morand non riesce a capire «come faccia la gente a vivere familiarmente con se stessa, a non dubitare, a sapere in anticipo come reagirà, dove sono o le sue frontiere... Si può sempre vivere nell'ignoranza e nella menzogna: gli altri vi raccontano la loro storia, ma non vi raccontano mai la loro geografia». Chardonne non si fida dei giudizi letterari dei contemporanei: «Non sono liberi, sono viziati dall'umore. Più si è ravvicinati, più il giudizio è doppio». Gli danno fastidio le frasi fatte: «“Si legge come un romanzo”, che stupidaggine. Niente è più noioso di un romanzo». Entrambi sono consapevoli che «alla nostra età si muore tutti della stessa malattia: ce ne andiamo a pezzi; questi brandelli sono le morti degli altri».
Pur consapevoli che di loro qualcosa resterà, non si prendono troppo sul serio: «Mia moglie mi ha detto: è strano, scrivi sempre libri intelligenti, senza esserlo in particolare». Quando Morand prende a lamentarsi per i troppi nemici, Chardonne lo blocca: «Almeno c'è qualcuno che vi pensa».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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