Il pamphlet Il «bestiario» di Giovanni Robertini

C'è l'intellettuale cool («che all'incalzare spontaneo “Leggi tanti libri?”, risponde piccato: “Io i libri li faccio”». C'è l'intellettuale di destra (il cui tratto distintivo è l'indecisione, tanto che «preferisce tenersi il dubbio, una delle poche certezze che gli sono rimaste») e quello di sinistra (che indossa cravatte che odia su vestiti che gli fanno schifo, e la domenica va al bar a guardare i posticipi serali, «tifando sempre per la quadra che perde»). C'è la modella (che preferisce rimanere stupida, perché «sa benissimo che rivelarsi come intellettuale metterebbe in difficoltà il proprio ruolo di modella, pregiudicando così quella strana forma di casting che è la vita»). C'è il ricercatore universitario («Gli hanno detto che l'Italia è un paese per vecchi, e si è adeguato: è invecchiato»). E poi il critico musicale, il designer, l'artista... Sono i «tipi», o meglio le specie in via d'estinzione, che popolano la giungla defogliata dell'industria culturale italiana, strani e curiosi animali pseudointellettuali ritratti con pietosa ironia da Giovanni Robertini (uno che nella palude del culturame è immerso fino al collo: è un giovane autore tv ideal chic delle Invasioni barbariche) nel pamphlet L'ultimo party (Isbn, con disegni di Ana Kraš), divertente e divertito «Bestiario del lavoro culturale», come da sottotitolo.
E sotto l'escamotage narrativo - un editore che incarica la miglior penna della scuderia di «buttar giù» i profili degli invitati per una plaquette da regalare al party di chiusura della casa editrice, ormai fallita - spunta un “dizionario degli intellettuali comuni” che agitano il mondo culturale 2.0 firmato da un disilluso e dissacrante scrittore.

Uno che «fino a qualche anno fa sognava di finire nella lista del New Yorker come uno dei più brillanti autori under 35, e oggi si accontenterebbe di fare un reading alla biblioteca pubblica di quartiere». Che peraltro sono sempre deserte.

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