"Pirati dei Caraibi? Provate i miei dell'Angola..."

In "Il leone d'oro" abbordaggi, inseguimenti e duelli

"Pirati dei Caraibi? Provate i miei dell'Angola..."

Dal 1964, anno in cui pubblicò Il destino del leone , Wilbur Smith non ha mai ceduto lo scettro di re della narrativa d'avventura internazionale. E il nuovo appassionante best seller dell'82enne scrittore, Il leone d'oro (Longanesi), è puntualmente schizzato in vetta alle classifiche di vendita. In quest'occasione Smith si è alleato per la prima volta a un giovane scrittore e ha scelto non casualmente Giles Kristian, pioniere della new action britannica che ha firmato saghe di successo come quella vichinga di Raven . Il risultato è un'avventura di pirati d'altri tempi, scandita attraverso le vicende della saga familiare dei Courtney. Lo spietato Lord Angus Cochran, conte di Cumbrae è sopravvissuto miracolosamente all'affondamento della sua nave ed è ridotto a larva umana, con un corpo ricoperto da cicatrici. Privo d'un occhio, d'un braccio e degli attributi maschili, sarà lui l'acerrimo nemico che dichiarerà guerra al corsaro Hal Courtney e alla sua nave Golden Bough. Cochran assumerà l'identità terribile di un nemico spettrale e mostruoso come l'Avvoltoio accettando di indossare una spaventosa maschera (impostagli dal principe musulmano Sadiq Khan Jahan) che gli permetterà di annientare con la paura i suoi nemici prima ancora che la sua spada possa raggiungerli.

Il leone d'oro è un romanzo ritmato da abbordaggi, inseguimenti, duelli, stragi di innocenti che mostra spesso tinte color sangue. Non ha mai fatto sconti Wilbur Smith nelle sue saghe e anche questa corsara è un'avventura che parla di vendette da compiere, grandi amori, cacce al tesoro. Sorridendo, seduto nel salotto di una suite d'un hotel milanese, Smith confessa che «le storie di pirati e di mare funzionano sempre. Ci sono sempre stati predatori dei mari e sempre ce ne saranno finché ci saranno tesori da depredare. L'importante è non fossilizzarsi sull'immagine mitica dei pirati dei Caraibi, quelli con la bandana in testa e con la benda su un occhio. I miei pirati vengono dall'Angola e sono davvero affascinanti e terribili».

C'è un segreto che le permette di scrivere così facilmente le sue storie?

«Conosco molto bene la mia Africa. L'ho girata in lungo e in largo, vi sono cresciuto e vi ho abitato per anni. Se racconto Zanzibar è perché ci sono stato e perché ne ho studiato la storia. Edgar Rice Burroughs, Rider Haggard e tutti gli altri che hanno raccontato appassionatamente il Continente Nero in altre epoche, spesso favoleggiavano di tribù misteriose, di grandi catene montuose, di incredibili tesori di diamanti. Ma usavano molto la fantasia. Si permettevano licenze che un moderno narratore non può permettersi. Oggi la gente viaggia, si regala safari in luoghi una volta inaccessibili. Quindi non si può inventare».

La vendetta è un tema ricorrente nelle sue storie...

«Mi permette di infliggere i peggiori tormenti sia ai buoni sia ai cattivi dei miei romanzi. In particolare far soffrire e torturare un cattivo ti dà la possibilità di farlo crescere ulteriormente nella sua mostruosità come è successo con l'Avvoltoio».

Nel Leone d'oro in mezzo a tanti tesori ci parla anche di reliquie...

«Era funzionale a questa storia che io parlassi del Sacro Graal e di altri oggetti legati alla vita di Cristo e dei Santi».

Con sua moglie ha dato vita a una fondazione speciale. Ce ne parla?

«Mi sono accorto di quanto sia difficile per un giovane autore dedicarsi alla narrativa d'avventura. Non basta il talento per emergere. Per cui assieme a mia moglie ho pensato di fondare la Wilbur & Niso Smith Foundation che si propone di dare una mano ai giovani narratori d'avventura in tutto il mondo, promuovendo le loro opere e creando spazi specifici dedicati a loro.

Per rendere attiva la fondazione abbiamo creato tre premi annuali: uno per il miglior romanzo d'avventura edito, uno per il miglior manoscritto inedito e uno per il miglior racconto. Molti giovani scrittori hanno già aderito alla nostra iniziativa e sono molto contento di questo».

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