Quegli amori futuristi. L'aeroromanzo di Marinetti veneziano

Per un crudele paradosso proprio una delle tecnologie più moderne oltraggia Filippo Tommaso Marinetti

Quegli amori futuristi. L'aeroromanzo di Marinetti veneziano

Per un crudele paradosso - niente a che vedere, però, con un contrappasso - proprio una delle tecnologie più moderne oltraggia Filippo Tommaso Marinetti. Provate a scrive il suo nome su computer, o in un messaggio sul telefonino, e quelle magnifiche, ignorantissime macchine scriveranno «Martinetti», ritenendo più importante l'ormai quasi dimenticato (e grande) filosofo Piero Martinetti che l'inventore del futurismo.

Lottai a lungo con la tastiera del computer, per risolvere questo ridicolo problema, quando scrivevo la biografia del geniale ideologo, scrittore e artista milanese. Invece deve essersi arresa, per irosa superiorità, la sua figlia più piccola, Luce, che ho avuto la fortuna di conoscere: nel 2002, mandando il dattiloscritto di Venezianella e studentaccio a Antonio Riccardi, direttore editoriale della Mondadori, scrive e non corregge: «A Venezia, nell'inverno 1943, primavera 1944, abitavamo nella casa dove l'Aretino aveva soggiornato. Martinetti sdraiato sul divano di fronte alla grande vetrata del suo studio, o sul balcone, osservava per ore il Ponte di Rialto e la Peschiera sull'altra sponda del Canale (...) in quei mesi, già molto ammalato, dettava a Benedetta (mia madre) e a noi figlie - Venezianella e studentaccio da lui definito Quasi romanzo. È inedito».

Inedito non lo è più, avendolo pubblicato ora la Mondadori (negli Oscar, pagg, 182, euro 10) dopo una preparazione lunga quando accurata. Lo si vede dalla sapienza dei saggi e delle note di Patrizio Ceccagnoli e di Paolo Valesio, che accompagnano il breve «aeroromanzo», secondo una definizione cara a Marinetti. E la prima curiosità è proprio scoprire come il Marinetti del 1944 vede la città che trentacinque anni prima minacciava di voler distruggere, affondare, asfaltare, in quanto simbolo di tutti i mali italiani. E appare subito chiaro dalle dettagliatissime descrizioni della città, ce ne fosse bisogno, che Filippo Tommaso amava Venezia, e che si sarebbe ben guardato dal torcerle un merletto, come del resto mai avrebbe oltraggiato un museo, se non a parole.

La città e la donna si identificano nel personaggio principale, la bella crocerossina Venezianella, sensuale e vitale, ma anche enigmatica e di forte spiritualità. Se ne innamora Studentaccio, volontario in licenza dal fronte, e soprattutto impegnato in una ciclopica impresa architettonica che lo identifica con il futurismo, più che con lo stesso Marinetti: la costruzione, sulla Riva degli Schiavoni, di una Nuova Venezia futurista.

Il manoscritto, già noto agli studiosi, si trova dagli Anni Quaranta in una biblioteca della Yale University, studiato recentemente da Giusi Baldissone, che cogli sagacemente il parallelo Venezianella-Beatrice Dante-Marinetti.

La protagonista, dai bei capelli biondi, ha l'aria di una santa o di una madonna e la sua «eleganza astratta e turchina» è «ansiosa di tremulo candore delle forze dell'ascetismo» e disgustata dalla veemente brutalità futurista di Studentaccio.

Un romanzo gioioso e giocoso, eversivo e irriverente, che rende un omaggio innovativo e sorridente al mito veneziano.

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