Quel vecchio bastardo di Bukowski Tra alcol, donne (e nazisti...)

Roberto Alfatti Appetiti ci racconta tutti i lati oscuri dello scrittore più alcolico di sempre

Quel vecchio bastardo di Bukowski Tra alcol, donne (e nazisti...)

Bukowski era un maledetto. Un bastardo. Uno sporcaccione, ubriacone e puttaniere. Trasgressivo al limite della pornografia. Non solo. Per soprammercato era anche un fascista. Un collezionista di maschere cattive, buone per far la linguaccia a conformisti e radical chic. Viveva di scrittura e scriveva vivendo. Infilava i piedi in un bicchiere di vino rosso e passeggiando, tra bettole e ippodromi, dava vita a un romanzo in chiaroscuro, in bilico tra la realtà e l'esagerazione, barcollando sul filo sottile dell'ironia. Se ne è andato vent'anni fa e - a dispetto della medicina e del buonsenso - non per una cirrosi fulminante. Cosa abbiano potuto tutti quegli elettroliti d'alcol filtrati da quel corpaccione sbilenco e ammaccato non lo saprà mai nessuno. Resta un mistero. Roberto Alfatti Appetiti, giornalista e saggista, ha sverniciato la patina di ipocrisia che le vestali del politicamente corretto hanno tentato di appiccicare sul malconcio Hank e ha scritto un libro (Tutti dicono che sono un bastardo. Vita di Charles Bukowski, edizioni Bietti) che ci restituisce un Bukowski inedito.

Alfatti Appetiti, c'è un capitolo del suo libro che avrà fatto saltare sulla sedia più di qualcuno. S'intitola “Camerata Bukowski”. Non mi dirà che era un fascista...
“Diciamo che si atteggiava a nazista. Ma era una provocazione, una reazione all'ambiente circostante, una rivolta iniziata al college per insofferenza nei confronti dei professori, tutti antitedeschi. L’America si apprestava a entrare in guerra e Bukowski racconta come in televisione mandassero in onda filmati di Hitler e Mussolini a velocità accelerata per far sembrare matti loro e i loro popoli. Per lui, di famiglia tedesca, questa propaganda era inaccettabile. La sua era una posizione ispirata all'anticonformismo, non un’adesione all'ideologia. In quel periodo, peraltro, frequenterà anche il partito nazista americano, salvo poi finire per domandarsi com’era possibile che il movimento della razza superiore non riuscisse a raccogliere altro che minorati fisici e mentali”.

Una provocazione che avrà fatto imbestialire molti suoi lettori... Come la spiegava?
“Quando lo intervista l’americanista Fernanda Pivano, lui spiega come tra i suoi lettori ci fossero molti fascisti. Lei inorridisce e lo esorta a smentirsi, a prendere le distanze. Bukowski quasi si irrita cercando di spiegarle che anche gli scrittori che ha amato di più, Luois Ferdinand Céline, Knut Hamsun ed Ezra Pound, avevano la vocazione ad andare nella direzione opposta a quella della massa. Bukowski apprezza gli scrittori che avevano avuto il coraggio di mettersi controcorrente, pagando il più delle volte un prezzo altissimo senza mai rinunciare alla loro dignità. Lo stile, per Bukowski, viene prima di tutto. Evoca spesso la fine che hanno fatto Céline, Hamsun e Pound e, in una poesia molto celebre che si intitola Fregàti, esorta gli scrittori a non farsi coinvolgere dalla politica. Il che non toglie che fossero proprio quelle che lui definiva le vecchie pellacce che si batterono così bene a essere i suoi eroi”.

Quindi era di destra?
“Diciamo che aveva più familiarità con scrittori dichiaratamente di destra che con i colleghi della Beat generation. Inoltre era politicamente scorretto: rivendicava il diritto di parlare male delle minoranze, delle donne e degli omosessuali, se lo meritavano. Non perché avesse dei pregiudizi o fosse animato da qualche forma di odio, ma semplicemente perché voleva poter dire sempre quello che pensava, senza che nessuno potesse dirgli che cosa potesse o non potesse scrivere”.

Però piaceva anche ai beat...
“Certo, tanto che è lo stesso Lawrence Ferlinghetti a pubblicare per la prima volta le Storie di ordinaria follia e a ospitarlo a San Francisco nel famoso reading del 1972. Se Bukowski avesse voluto cavalcare quest'onda, probabilmente sarebbe diventato famoso molto prima e si sarebbe affermato negli Stati Uniti senza essere costretto a una gavetta interminabile. Ma lui, piuttosto che coltivare i rapporti con i ben più celebri colleghi, non rinunciava alla tentazione di irriderli per l'omosessualità di alcuni di loro e di criticarli per scelte politiche che non condivideva affatto”.

Quindi tutta la storia del Bukowski pacifista e di sinistra è una balla?
“Sì, è una vera e propria appropriazione indebita o proletaria che dir si voglia. Era un solitario, uno che non voleva far parte di alcun tipo di gruppo o di chiesa. Spernacchiava gli scrittori che partecipavano alle feste del partito comunista e non aveva alcuna considerazione per i sessantottini. In tanti racconti e poesie prende in giro le cosiddette “anime belle”. Alle protest songs di Bob Dylan e Joan Baez preferisce la musica classica. Bukowski, a dirla tutta, detesta il buonismo e ogni forma di mobilitazione democratica, le associazioni benefiche e tutti quelli che si mettono a capo delle proteste con la pretesa di cambiare il mondo. A lui di cambiare il mondo non frega assolutamente nulla. Lui voleva cambiare solo il suo mondo, tanto che quando riesce ad affermarsi, prima in Europa e molto più tardi nel nuovo continente, non ha grandi scrupoli nell’adattarsi a una vita di normalità, anzi per lui diventa quasi una conquista”.

Se la sinistra lo ha sfruttato, la destra però ha dormito...
“Probabilmente la destra era spaventata da certi eccessi del personaggio, la sua vita dissoluta ne faceva un cattivo esempio per i giovani, un mito negativo. Insomma: era scomodo per tutti. Ma resta il fatto che i suoi miti, i suoi riferimenti culturali, le sue frequentazioni e le sue letture e, se possiamo chiamarla così, la sua sensibilità, sono quanto di più estraneo possa esserci rispetto alle sinistre”.

Era un irregolare puro.
“Non era uno che strillava contro il sistema con la speranza di essere cooptato. Anche quando diventa un vip, rimane comunque il solitario di un tempo e continua a denunciare l’ipocrisia della società letteraria, marcando la siderale distanza dai salotti che contano. Ed è una cosa rara, se non unica. Perché spesso gli irregolari sono tali solo a tempo determinato, nella misura in cui essere contro è utile per conquistare un posto al sole e godere di una rendita di posizione, fosse anche di finta opposizione. Bukowski, invece, non faceva desistenze neppure con chi poteva avere i suoi stessi nemici. Non ha fatto niente che potesse facilitarlo. Basti pensare al pacifismo: lui era contro la guerra ma non ha goduto dei vantaggi di cui avrebbe potuto avvantaggiarsi uno scrittore pacifista. Perché era anche contro i pacifisti e ci teneva a farlo sapere”.

E in Italia c'è stato qualcuno un po' come lui, nel suo solco di intellettuale irregolare e rigorosamente disorganico?
“Mi vengono in mentre tre personaggi che, non solo anagraficamente, possono essere accostabili a Bukowski. Luciano Bianciardi, altro non irreggimentabile, ribelle controvoglia, indisponibile a farsi arrabbiato di professione tanto era disinteressato al successo, al punto da dire che, per lui, successo era solamente il participio passato del verbo succedere. Giancarlo Fusco, poi, ne aveva anche la fisicità e il modus vivendi: l’aspetto poco raccomandabile, la trascuratezza nell'abbigliamento, la passione per il pugilato, l'alcol e le notti di baldorie. E poi, non ultimo, Nino Longobardi, che nutriva lo stesso irriducibile fastidio per gli opportunisti, per chi saltava sul carro dei vincitori improvvisandosi portavoce delle sorti magnifiche e progressive. Tutti e tre finirono nel mirino del partito comunista come renitenti. Tutti e tre hanno avuto vite brevi e difficili, ignorati o mal sopportati in vita e frettolosamente dimenticati”.

Parliamo di sesso: ne era veramente così ossessionato?
“Sì e no. Fino quasi ai cinquant'anni ha avuto pochissime relazioni sentimentali e ancora meno sessuali. Da adolescente per lui le donne erano inavvicinabili, a causa dell’acne devastante che gli aveva sfigurato il volto. Essere povero e di origini tedesche, inoltre, non erano esattamente qualità seducenti. Le prime donne arriveranno con la popolarità di poeta underground, anche se ai suoi reading si presentano donne che, in larga parte, come ammette lui stesso, sono “donnacce” e “alcolizzate”. Le raccoglieva, per usare le sue parole, “dagli sgabelli dei bar come fossero prugne mature”. Così, dopo anni di astinenza, se non proprio repressione sessuale, a quel punto ci prova con tutte quelle che gli capitano a tiro e diventa un avventuriero seriale. In fondo, però, resta un duro dal cuore tenero: per quanto possa manifestare un approccio spregiudicato, si innamora e soffre come tutti gli uomini. Diciamo che è un sentimentale, a modo suo...”

Cosa ci ha lasciato la sua opera?
“Le questioni che poneva, il consumismo sfrenato che ci fa diventare schiavi di bisogni indotti, l'alienazione della società occidentale, la realtà di sfruttamento, abbrutimento e povertà che si nasconde dietro l’inganno del sogno americano per tutti, l’illusorietà del progresso quale risposta ai problemi sociali, economici e politici, oggi sono più attuali di ieri e non a caso Bukowski rimane lo scrittore statunitense più popolare in Europa. I suoi libri vengono continuamente ristampati e vendono tantissimo, specialmente tra i giovani, che non si accontentano dei libri e dei film preconfezionati per loro, ma lo riconoscono come un vero antagonista del sistema, l’unico che abbia la forza di sollevare il tappeto e mostrare cosa c’è sotto”.

Ma Hank era veramente un bastardo, come scrive nel titolo del suo libro?
“Tutti dicono che sono un bastardo altro non è che una sua citazione.

È lui stesso che ha fatto di tutto per alimentare la fama del bastardo: una maschera che aveva indossato fin da ragazzino per meri motivi di sopravvivenza. Una maschera che gli è rimasta incollata fino a diventare una seconda pelle, una maschera che può mordere o sorridere. Nel dubbio, non era consigliabile avvicinare la mano”.

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