Quella destra o troppo trash o troppo snob

Cinema, arte, teatro, pubblicità, design, moda, la creatività giovanile, insomma "l'industria culturale allargata". E in questi campi la destra non c'è

Quella destra o troppo trash o troppo snob

Sul Giornale di mercoledì, di Luigi Mascheroni scrive che esiste una intellighenzia di sinistra – sui vari media e nelle università che schifa la destra che ha successo. Vero. Capitò anche a me, anni fa, di trovarmi un professore universitario a chiedermi «cosa ci fai qui?» perché eravamo assieme relatori a un convegno di politologi. È il solito vezzo e vizio della sinistra con la puzza sotto il naso, la conosciamo bene: a loro in mano l'industria culturale, al resto d'Italia la maggioranza sociale e politica. E però il ragionamento di Mascheroni andrebbe proseguito guardandoci noi, quelli «di destra» che scrivono e provano pure a pensare, allo specchio. E qualche bel difettuccio io ce lo vedo.

La mia idea è questa: nella cosiddetta «destra» convivono due estremi. Da un lato ci sono quelli che a forza di voler rappresentare gli umori del popolo scadono in un populismo paraculo e fastidioso. Dall'altro quegli altri che schifano così tanto il popolo da vivere in un imbarazzante solipsismo. In mezzo, c'è poco (il nostro Nicola Porro per esempio, o l'esperienza di Giornale Off) o niente. Cominciamo dai populisti. C'è chi gode a prescindere ad andare contro il cosiddetto «politicamente corretto», fino al parossismo di difendere qualsiasi cosa, anche la più sciocca, purché vada contro il «pensiero dominante»; il popolo va difeso anche quando rutta e mette le mani nel piatto, perché è verace e fa tanto nazionalpopolare. L'idea qui è quella di rifiutare qualsiasi intento pedagogico e limitarsi a rappresentare la «pancia» del Paese con tutti i suoi borborigmi; e dunque arrivano le piazze, le gabbie, le ugole tonanti, il «sono tutti ladri».

La seconda tendenza è l'esatto opposto, retaggio del tradizionalismo e dell'elitarismo da sempre presenti nella cultura di destra. Qui solo l'idea di una contaminazione con il pop e con la cultura di massa provoca orrore. Qui nascono i pamphlet di poche centinaia di copie, i microconvegni, le analisi che il mondo contemporaneo fa schifo ed è tutto una rovina, le trasmissioni di nicchia tanto fighe ma tanto poco viste, ma il presupposto è che l'intellettuale può al massimo, con un cannocchiale che lo tiene bene a distanza dal popolo sudato, svolgere una funzione di testimonianza per i posteri. E in mezzo alla tenaglia populismo/elitarismo ci sono praterie deserte, o quasi: cinema, arte, teatro, pubblicità, design, moda, la creatività giovanile, insomma «l'industria culturale allargata». E in questi campi, noi «di destra» non ci siamo.

E qualcuno di noi risponde che quella roba lì serve poco, sapendo di mentire, perché sono i luoghi dove si forma l'immaginario popolare.
Tra trono e altare, da un lato, e tronisti e altarini, dall'altro: in questo spazio esiste la possibilità di una buona controcultura. E se ci schifano, fatti loro.

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