Tra regno di Dio e passioni umane: tutti seduti sul trono di Pietro

Da Leone I che fermò Attila a Gregorio Magno, fino a oggi. Così il Vaticano, fra potere e fede, ha segnato la storia d'Italia

In un momento cruciale per la storia della Chiesa "il Giornale" offre ai letto­ri l’o­ccasione di ripercor­rere la grande (controver­sa e gloriosa) storia del pa­pato, fra regno di Dio e pas­sioni terrene. E così, da venerdì 15 marzo, il no­stro quotidiano regala tutti i giorni fino a sabato 30 marzo­ per 16 uscite consecutive ­un in­serto su "La Storia dei Papi" che raccoglie le biografie dei 50 ponte­fici più importanti della Chiesa (ve­di elenco in questa pagina) scritte dallo storico Claudio Rendina. I "quartini", inseriti ogni giorno al cen­trodel "Giornale", possono essere ri­piegati e raccolti.

Mezzo millennio fa Niccolò Machiavelli scrisse che la presenza della Chiesa cattolica in Italia aveva provocato due mali gravissimi: «Gli esempli rei», ovvero la corruzione del papato e del clero, avevano fatto perdere agli italiani ogni vera e sincera religiosità. «Abbiamo adunque con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obligo: di essere diventati sanza religione e cattivi: ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa». Del resto la stessa Chiesa ormai ammette di avere risentito - spesso malamente perché umanamente - dei tempi e dei costumi che ha attraversato, portando agli altari papi corrotti, preti sporcaccioni, vescovi assassini.

Ma anche per questo la storia dei papi è tanto affascinante. In particolare dal IV secolo e fino al XVII grande parte dei papi fu tutt'altro che esemplare. Nel 410 avviene uno degli episodi più traumatici dell'antichità, tanto che da quella data si può far iniziare il Medioevo: i visigoti saccheggiano Roma. La popolazione della città passa da 750mila a 300mila abitanti, la Chiesa eredita edifici e terreni, costruisce i propri templi sulle rovine di quelli pagani e Roma diventa «la città del papa». L'autorità ecclesiastica si accresce tanto più quando, nel 452, papa Leone I ferma Attila prima che arrivi su Roma. Al di là delle leggende, è molto probabile che lo abbia fermato offrendogli il tesoro di Pietro. Certo è che Roma deve al papato la sua stessa sopravvivenza: ridotta a poche decine di migliaia di abitanti tormentati da carestie, epidemie, invasioni, sarebbe forse diventata una città morta, come tanti piccoli borghi di oggi che un tempo furono illustri. L'importanza politico-religiosa dei papi le permise di sopravvivere e crescere.

Un altro dramma avvenne nel 579. I longobardi erano alle porte di Roma e papa Pelagio II ebbe per primo un'idea - al momento caduta nel vuoto - destinata a uno straordinario successo futuro: chiedere a un re straniero, in questo caso al regno cattolico dei franchi, di venire in soccorso di Roma. In compenso Pelagio ebbe come successore uno dei più grandi papi della storia, Gregorio I, non a caso detto Magno. Da monaco dormiva volentieri, per penitenza, con la testa appoggiata su un sasso. Quando fu eletto papa, contro la sua volontà, per prima cosa sostituì i prelati corrotti che circondavano i papi con monaci benedettini, poi spogliò la Chiesa delle sue rendite per nutrire quanta più gente poteva. Come sostiene lo storico tedesco Gregorovius, che scriveva nell'800, dopo Gregorio «mai più un'anima così sublime e generosa come la sua sedette sulla cattedra di Pietro». Gregorio fu il sessantaquattresimo pontefice, e dopo di lui ce ne sono stati più di duecento.

Un altro grande passaggio avvenne nel 774. Carlo Magno, figlio di Pipino, li sconfisse per sempre i longobardi, liberandone l'Italia, e la notte di Natale dell'800, Leone III lo incoronò imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo Magno, come i suoi successori, era disposto a riconoscere la sacralità papale, ma intendeva farne uno strumento della propria politica. Capì appieno l'utilità della Chiesa come strumento di coesione statale: la visione ecclesiastica di un popolo ordinato gerarchicamente, che intendesse la vita come espiazione privata e collettiva, era quel che occorreva a un impero tormentato da problemi di disciplina sociale e controllo militare. Anche se i vertici della Chiesa non erano un esempio di modestia e pace. Per molti decenni un paio di famiglie contesero a re, imperatori, popolo e clero il diritto di nominare il papa, spesso riuscendoci. I coniugi Teofilatto e Teodora scelsero più di un pontefice e la loro figlia Marozia dette a Sergio III un figlio che nel 931 sarebbe diventato anche lui papa, col nome di Giovanni XI. Qualcuno ha definito il X secolo come quello della «pornocrazia papale», ma in realtà il culmine della corruzione venne raggiunto nel XV. Per cinque secoli, dunque, la Chiesa alternò a papi degni, e anche eccellenti, papi tremendi. E spesso anche quelli di grande capacità politica erano quanto di meno cristiano si possa immaginare. Intorno al Mille, i più erano corrotti, incestuosi, vili, assassini.

Non staremo a soffermarci con inutili moralismi su quei papi e quelle vicende, ma occorre fare alcune considerazioni sugli effetti che il papato ebbe sulla storia d'Italia. Padroni, fino al Risorgimento, dell'Italia centrale, stretta fra re nordici e re meridionali di vario genere, i papi furono i principali artefici della tardiva unità nazionale: la tesi lanciata da Machiavelli è stata dibattuta abbastanza, nei secoli, per dimostrare che l'autore del Principe aveva ragione. Quel blocco di regioni a metà penisola, sul quale nessun imperatore osò - o poté - assumere un dominio diretto, spezzò per più di un millennio l'Italia in tre grandi tronconi. Né d'altra parte i papi furono mai abbastanza forti, o interessati a farlo, da espandere i propri domini. E l'Italia fu continuamente percorsa da eserciti stranieri, con effetti disastrosi.

In compenso, con poche eccezioni, i papi dedicarono maggiore attenzione ai loro possedimenti diretti, cioè all'Italia. Innocenzo III, uno dei più grandi, non esitò a dichiarare, verso il 1200, che avendo Dio scelto Roma come sede dell'autorità pontificia, l'Italia aveva la «precedenza su ogni altro per divina disposizione»: una precedenza che non ebbe soltanto buoni risultati.

La Chiesa fu, per troppo tempo, l'unico esempio di potere e centralizzazione sperimentato dal popolo: un potere inefficiente e invadentissimo nella vita privata, che si sommava a quelli del signore locale, del piccolo Stato e dei dominatori stranieri. È facile vedere in questa situazione la causa principale della riottosità degli italiani di ogni tempo a qualsiasi potere centrale.

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