(Ri)fare una vecchia mostra? È la nuova arte, bellezza!

Nel 1974 a Milano arrivava l'innovativa esposizione "La ripetizione differente". Oggi è riproposta nella stessa galleria e con le stesse opere di Baj, Counellis e Fabro

(Ri)fare una vecchia mostra? È la nuova arte, bellezza!

Non si parla mai abbastanza di una mostra di arte contemporanea che in Italia, nel lontano 1974, fu precorritrice della sensibilità postmoderna che di lì a poco avrebbe preso piede, nel tentativo di stabilire un nuovo rapporto con la storia: La ripetizione differente, curata da Renato Barilli e allestita allo Studio Marconi a Milano. La teoria era molto chiara, derivata da un saggio di Gilles Deleuze: cogliere quel fenomeno di ritorno al passato, constatata la fine delle avanguardie, attraverso il citazionismo e il retrò. Maestro di questa ancor non precisata tendenza veniva individuato Giorgio de Chirico, che negli anni tardi della sua carriera si era divertito a «rifare» i soggetti dei suoi quadri più celebri, a cominciare dalle celeberrime piazze metafisiche, provocando così uno spiazzamento nell'andamento cronologico-evoluzionista dell'arte.

A quella mostra parteciparono sia pittori pop come Enrico Baj, Valerio Adami, Emilio Tadini e Richard Hamilton (che lavoravano con la scuderia Marconi) sia alcuni protagonisti dell'Arte Povera quali Giulio Paolini, Jannis Kounellis e Luciano Fabro, a dimostrazione dell'inutilità di distinguere figurativo da concettuale. Inoltre alcuni giovani, Salvo, Luigi Ontani e Ugo Nespolo si schieravano verso un'arte più ludica e performativa, mentre Gerhard Richter, John Baldessari e i coniugi Poirer rappresentavano il meglio delle ricerche internazionali. A distanza di quarant'anni La ripetizione differente viene letteralmente rifatta nello stesso spazio di via Tadino, divenuto nel frattempo fondazione. Le opere sono le stesse, a parte qualche aggiunta recente di Urs Lüthi e Plinio Martelli. Perché dunque questo remake? Certo per puntualizzare l'importanza del progetto di Barilli, ma soprattutto per ribadire la tendenza alla coverizzazione. Tale moda, infatti, comincia a essere piuttosto diffusa anche nel campo dell'arte, mentre nella musica è fenomeno definitivamente esploso. Lo scorso anno, quando si inaugurava la Biennale di Venezia, a Cà Corner de la Regina Germano Celant ha riproposto When Attitudes Become Forms, storica mostra allestita da Harald Szeeman nel 1969 che inaugurò il sistema contemporaneo in cui domina, appunto, il ruolo del curatore. Con la differenza che qui mancava il protagonista principale, Szeeman infatti è scomparso anni fa. Una mostra peraltro così importante da averne ispirata una versione apocrifa al Walker Art Center di Minneapolis nel 2003 -in Italia è transitata alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino- dal titolo How Latitudes Become Forms, ovvero l'arte nell'era globale, un mondo sconosciuto alla fine degli anni '60. C'è da scommettere che questa tendenza di “rifare” le mostre, per capire se a distanza di tempo tengono ancora, è destinata a continuare. Sarebbe bello, ad esempio, vedere una versione nuova di Combattimento per un'immagine, in cui Luigi Carluccio negli anni '70 faceva sfidare a duello pittura e fotografia; oppure come si è evoluto il video dopo Les Immateriaux di Jean-François Lyotard (1984); e infine verificare se gli ex bad boys della yBa sono ancora così corrosivi, circa vent'anni dopo Sensation.

Il mondo della musica ha in tal senso fatto diversi passi avanti. Siamo in piena retromania, per mutuare il titolo del fondamentale saggio di Simon Reynolds sull'influenza del passato nel presente. Molti gruppi hanno la tentazione di riportare live i loro dischi migliori. Prendiamo il caso degli Afterhours di Manuel Agnelli: Hai paura del buio?, uscito nel 1997, uno degli album migliori di quel decennio. Oggi sono in tour con il proprio capolavoro, dopo averne dato alle stampe una versione remastered con un bonus di cover eseguite da Bennato, Negramaro, Mark Lanegan, Subsonica, Vasco Brondi e altri. Lo scorso 3 giugno i Television hanno riproposto all'Alcatraz di Milano lo storico Marquee Moon del 1977, con cui sono diventati una leggenda della new wave. Gli Slint rifanno invece Spiderland, il disco che ha inaugurato il genere del post rock nel 1991, mentre i Jane's Addiction sono alle prese con il remake di Nothing's Stocking, venticinque anni dopo l'uscita, e anche qui si parla di un lavoro seminale.

In quanto ai profeti del Grunge, gli Offspring tornano sul palco per il ventennale di Smash. Il fatto è che a risentirli tutti questi dischi sembrano registrati ieri mentre, come accade per le mostre, il presente è assai avaro di innovazioni.

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