Lo scetticismo «attivo» del ribelle conservatore

Torna La filosofia dell'autorità di Giuseppe Rensi. Un libro che demolisce il razionalismo liberale e la verità. Ma salva l'uomo

Lo scetticismo «attivo» del ribelle conservatore

Socialista rivoluzionario e poi conservatore reazionario, ateo e mistico, massone e sostenitore del cattolicesimo politico, teorico del primo fascismo e poi antifascista. Il singolare cammino di Giuseppe Rensi (1871-1941) tra due secoli, due culture e infinite mutazioni ha solo un filo conduttore che ne certifica la nobiltà e il non conformismo: fu sempre dalla parte del torto.
È uscito in questi giorni un suo testo del 1920 che spiazza tutti, liberali e tradizionalisti, comunisti e fascisti, razionalisti e fideisti. È La filosofia dell'autorità (La vita felice, pagg. 278, euro 14,50). La sua filosofia è lo scetticismo ma il suo esito politico non è la rivoluzione, come pensava Giuseppe Ferrari, bensì la conservazione. È un libro che demolisce il razionalismo liberale e fonda la politica sull'irrazionale, che a suo dire è la chiave della realtà. Ciò che è reale è irrazionale, ciò che è razionale non è reale. Hegel viene capovolto da Rensi più radicalmente di quanto fece Marx. La tesi di Rensi trae lo spunto dal celebre motto di Hobbes secondo cui non la verità ma l'autorità fa la legge. E infatti per Rensi ognuno ha la sua verità, non esiste una verità oggettiva che si coglie tramite la ragione. Per tagliare il nodo gordiano della razionalità e dei suoi esiti divergenti, non resta che la decisione, l'atto sovrano compiuto dall'autorità. Un tempo si riteneva che l'autorità si fondasse sul dogmatismo; Rensi al contrario fonda l'autorità sullo scetticismo. La sua filosofia dell'autorità giustifica ogni decisionismo, sia esso compiuto nel nome del socialismo o del fascismo, della rivoluzione o della restaurazione, dell'individuo come della comunità.
Di fatto, la sua teoria giustificò il passaggio di Mussolini dal socialismo al fascismo e dall'anelito rivoluzionario al regime autoritario. Rensi passò come Mussolini dal socialismo rivoluzionario all'interventismo, accolse e ospitò tra i rifugiati in Svizzera il giovane Benito che all'epoca lo chiamava compagno avvocato, condivise il passaggio all'interventismo, poi collaborò al Popolo d'Italia, alla rivista mussoliniana Gerarchia e precorse la svolta autoritaria del fascismo. Salvo poi distaccarsene, polemizzare con Gentile che nel frattempo aveva egemonizzato il fascismo, e darsi all'antifascismo. Rensi non fu mai liberale ma fu sempre uno spirito libero, e davanti alla dittatura non potè che passare all'opposizione. Prescrisse l'autorità ma lui non la sopportava. Ma fu ribelle anche al ribellismo.
Rensi riteneva che il popolo e la nazione non esistessero ma fossero puri nomi astratti, anche se fu fautore della democrazia diretta. Per lui il bene comune è ciò che divide di più gli uomini anziché unirli; e così la volontà generale, anticamera del dispotismo. La verità si frantuma tra le sue interpretazioni l'un contro l'altra armate e alla fine prevale chi è più forte. Rensi riteneva il liberalismo figlio di quel razionalismo fondato sull'irreale. Pur vagheggiando da giovane la rivoluzione sostenne che «la ribellione è delitto fin tanto che non ha vinto». Dunque, ogni sua repressione è lecita; ma se la forza passa poi dalla parte dei ribelli, allora saranno loro a stabilire la norma e il diritto. «Guerra e decisione dei magistrati - scrive in Lineamenti di filosofia scettica - sono in fondo la stessa cosa, sopprimono con la forza le asserzioni di una ragione». È la forza che precede il diritto; non è la bontà della norma ma il monopolio della forza a decretarne il valore. Da versanti opposti, un cattolico realista fino al cinismo come Carl Schmitt arriverà alla stessa conclusione, il decisionismo. La libertà sfocia nel nulla, non resta che la decisione sovrana.
La filosofia di Rensi sconvolge due pensieri che oggi si danno per acquisiti: uno, lo scetticismo non è un argine al dispotismo, come oggi invece si ritiene, ma può diventarne il presupposto, quanto e più del dogmatismo. Due, lo scetticismo non genera progresso e rivoluzione, ma più spesso produce inerzia e conservazione. Ma l'obbiettivo polemico della filosofia dell'autorità di Rensi era la convinzione che libertà e legge coincidessero, e così volere particolare e volere universale, come pensava l'idealismo. In realtà, sosteneva Rensi, libertà e legge, volontà dei singoli e volontà generale, sono sempre in conflitto. Credere che l'autorità coincida con la libertà fu la nociva utopia di tutti i regimi dispotici e dell'idealismo che li compenetrava. Rensi invece colse la drammatica e irrisolvibile tensione fra i due poli, riconoscendo in tal modo il valore e il significato di ambedue e la loro irriducibile autonomia. L'idealismo arriva a pensare con Gentile che autorità è libertà, volere del singolo e dello Stato coincidono. Rensi pensava il contrario, il conflitto è irrisolvibile, e non resta che riconoscerlo per superarlo con un atto d'imperio.
Arrestato per due volte dal regime fascista e per due volte rimesso in libertà dal vecchio compagno Mussolini - una volta anche sulla base di un falso necrologio sulla sua morte - Rensi ruppe col regime mentre veniva messa fuori legge la massoneria, di cui Rensi restò attivo esponente. Sul piano filosofico Rensi fu stroncato da Gentile ma anche da Croce, fu considerato ateo dalla Chiesa e un mezzo traditore e reazionario dai social-comunisti. Per un pensatore così, avverso a tutti i poteri in campo, c'erano scarse possibilità di riconoscimento. Così Rensi visse in una malvista marginalità, ai limiti della clandestinità, pur insegnando per anni all'Univesità di Genova. Non ebbe seguaci e si ritrovò solitario interprete di quello spirito anti-italiano, fiero e in disparte, che si nutriva del pessimismo leopardiano e di un individualismo tragico e antiliberale. Un individualismo avverso però all'egoismo al punto da riconoscere alla religione il merito di voler sradicare l'egoismo. Per sopportare un mondo assurdo, scrisse, ci vuole un profondo spirito religioso. E l'ateismo gli apparve la più alta e pura di tutte le religioni. Non è un caso, del resto, che Ernesto Buonaiuti lo abbia definito «scettico credente» e che i più acuti interpreti del suo pensiero ateo e religioso siano stati due pensatori cattolici come Michele Federico Sciacca e Augusto del Noce.
Rensi, autore di un'apologia dell'ateismo, ebbe una figlia, Algisa, che si fece suora col nome di Maria Grazia.

In una delle sue Lettere spirituali, Rensi rivendicava «la legittima esigenza di essere angeli, il sommesso rimprovero a Dio di non averci fatti tali, la nostalgia della nostra vera patria, il paradiso terrestre, e il lancinante dolore di esserne stati scacciati». Dio sa quanto bisogno ci sarebbe di atei come lui.

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