Cultura e Spettacoli

Scomparso Fabio Piscopo, era il "papà" del settimanale Cioè

Se n'è andato dopo una breve malattia l'editore Fabio Piscopo. Aveva creato negli anni '80 e '90 un vero e proprio impero dell'editoria. A lui si deve la nascita del settimanale per teen ager "Cioè" che all'epoca fece crescere intere generazioni di ragazze

Scomparso Fabio Piscopo, era il "papà" del settimanale Cioè

Se n’è andato nella notte Fabio Piscopo, uno dei editori italiani più geniali e anticonvezionali. Il "papà di Cioè", come veniva chiamato da molti, la rivista che negli anni ’80 e ’90 era diventata il punto di riferimento per le teen ager italiane. In realtà la sua perspicacia in pochissimi anni lo aveva portato a far diventare la sua casa editrice una delle più grandi in Italia, con decine di riviste che abbracciavano ogni possibile argomento, dall’astrologia al mondo dei teen ager, dalla cucina allo sport fino al gossip. Un animo inquieto il suo, sempre pronto a partorire idee che si rivelavano poi editorialmente vincenti. Fu sempre lui che ideò la fiorente moda dei gadget da allegare alle riveste, lanciando un trend in tutto il mercato, che non ha avuto eguali. Da ragazzo voleva fare il pilota da corsa, passione poi ripresa da suo figlio Edoardo, perché amava la sensazione che la velocità gli dava, cosa che ha poi sempre riportato nel suo lavoro da editore.

Nonostante venisse da una famiglia molto benestante, il nonno materno, Giuseppe Ricci, di Forlì, nel dopoguerra aveva fondato la Ultragas, una delle principali società italiane di distribuzione di petrolio e di gas, lui amava, come ricorda chi lo conosceva bene, “sporcarsi le mani” nel lavoro, e anche quando la sua azienda era all’apice del successo, ero lui in prima persona che seguiva la linea editoriale e sceglieva addirittura le copertine lavorando a fianco della redazione. Un vezzo che i suoi giornalisti ricordano bene e che veniva preso non come un suo strapotere, piuttosto come un affetto quasi paterno, per ognuna delle sue creazioni editoriali.

Laurea in economia e commercio alla Luiss per poi approdare come volevano i genitori, nell’azienda di famiglia. Questo però a lui andava stretto, affascinato dall’immagine del nonno che si era fatto da solo, e di cui voleva seguire le orme. Una gabbia per lui anche il lavoro in banca, fino a che non incontra un suo vecchio professore universitario, che aveva fondato la casa editrice “Le Muse”. “Quando ci siamo rincontrati ho ammesso che a 28 anni non sapevo ancora cosa fare da grande, e lui mi ha proposto di entrare nella sua casa editrice”. Con l’aiuto dei genitori Piscopo acquista il 50% delle Muse e per un paio d’anni impara il mestiere. Poi il professor Buononato decide di fare solo l’autore e gli cede anche l’altro 50%. Ma il neo editore è comunque irrequieto: “Avevo portato la casa editrice al guadagno, però mi sentivo costretto in un lavoro lento e noioso. Da quando concepisci l’idea al momento in cui il libro arriva in libreria, se va bene passa un anno. Per il mio carattere questi tempi sono allucinanti, sentivo il bisogno di misurarmi con qualcosa di più rapido e anche di più eccitante”. Raccontò in un’intervista.

È il destino a soccorrerlo negli anni ’80 quando sua sorella sposa Guido Cavallina, figlio di Paolo Cavallina, un giornalista della Rai all’epoca molto conosciuto. Un po’ per gioco, cominciano a sfidarsi per creare un settinamanale per giovani. Pensano a un giornale rivolto soprattutto alle adolescenti e con tanti personaggi. Il nome è quasi obbligato, Cioè, la parola che in quegli anni è un’intercalare usato dai ragazzi. Il primo numero esce il 7 ottobre del 1980 con appena 6 giornalisti in reazione.

Ma la cosa non finisce lì, perché appena un anno dopo ha un’idea che risulterà poi vincente e che cambierà il mondo dell’editoria italiana per molti anni. Lui amava raccontarla spesso: “In una cartoleria vedo una gommina a forma di cuore. Ma questa si potrebbe mettere assieme al giornale, penso. Chiaramente avevamo molti dubbi: a quell’epoca non facevamo sondaggi e non sapevamo come le lettrici avrebbero reagito a un aumento del prezzo di copertina, anche se piccolo. Invece fu un boom e Cioè fece l’esaurito su una tiratura attorno alle 100mila copie. In quel momento abbiamo capito che questo era l’unico modo per battere i grandi editori che avevano tanti soldi da investire e facevano pubblicità in tivù. E Cioè ha continuato a uscire con allegata ogni volta una piccola cosa: l’anellino, il braccialetto, la penna un po’ strana. Andavo io in giro a cercare questi oggetti, del resto a quell’epoca era tutto più semplice e le ragazze si accontentavano. Così siamo arrivati alle 300mila copie del 1990”.

Un momento magico, dove i super-poster e i fotoromanzi, erano i social di quelle generazioni. Tra le firme anche quella di Maurizio Costanzo. Il resto è storia. Quella di un editore che da quel momento creò un vero e proprio impero, guidando la sua azienda come fosse sempre appena uscito dall’università. Una direzione la sua, che spesso gli fu criticata da chi considerava quella “conduzione a livello familiare” sbagliata, ma che al contrario fu per lui vincente. Nel 2009, dopo anni che i social avevano preso il posto delle riviste nelle giovani generazioni, decise di vendere l’azienda al Gruppo Panini che rilevò anche molte altre testate. Una persona consierata da molti sui generis, ma estremamente timida, divertente, generosa e amatissima nella ristretta cerchia di chi lo conosceva bene. Dopo la vendita dell’azienda, si era ritirato a vita privata.

Si è spento nella notte dopo una breve malattia su cui aveva mantenuto il più stretto riserbo.

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