Le vere radici della scienza? Sono nel medioevo cristiano

I sapienti studiavano la natura per capire qualcosa del Creatore. Da lì nasce la mentalità che porterà alla rivoluzione di Newton

Le vere radici della scienza? Sono nel medioevo cristiano

Quando si vedono le efferatezze dell'Isis non c'è giornalista o commentatore che non parli di «medioevo». Ma i jihadisti sognano il VII secolo solo perché alba dell'islam. Che poi il medioevo occidentale fosse più crudele del precedente e civilissimo Impero Romano è una fesseria. È dall'Umanesimo&Rinascimento che ci trasciniamo dietro la denigrazione dei «secoli bui», con l'avallo autorevole di Voltaire e dei suoi discendenti.

Non c'è bisogno (per chi si informa) di richiamare qui quel che è ormai assodato: l'Europa medievale inventò le università, il mercato, la democrazia rappresentativa e prese sul serio giocattoli cinesi come la bussola e la polvere da sparo. Ma l'elenco sarebbe lungo. Basti solo pensare al cambiamento epocale apportato dall'orologio meccanico e quanto debba la civiltà moderna alla conseguente razionalizzazione del tempo. L'editore D'Ettoris ha pubblicato un libro che supera tutti gli altri sull'argomento, un testo eccezionale che, con linguaggio divulgativo e un tocco di humour, spiega come la «rivoluzione scientifica» del XVII secolo sia una balla, perché Copernico, Keplero, Galileo e Newton nulla avrebbero potuto escogitare se non avessero avuto alle spalle secoli di scoperte e acquisizioni. I secoli, appunto, medievali. James Hannam (fisico e filosofo della scienza di Cambridge) in La genesi della scienza. Come il Medioevo cristiano ha posto le basi della scienza moderna (pagg. 496, euro 26,90) ci informa innanzitutto che il termine «scienziato» nacque nel 1833 alla British Association for the Advancement of Science: «Quel vocabolo fu coniato solo nel 1833 perché prima di allora nessuno ne aveva avvertito la necessità. Solo nel secolo XIX la scienza era diventata una disciplina autonoma, separata totalmente dalla filosofia e dalla teologia. È vero: la scienza era arrivata così lontano grazie a una particolare concezione di Dio e della creazione; ma, ora, si era così affermata da non averne più bisogno».

Eppure era stata proprio quella particolare concezione di Dio a spingere gli uomini a studiare la natura, perché «attraverso la natura l'uomo poteva imparare qualcosa del suo Creatore», il quale era «coerente e non capriccioso». Ed era questa, non altra, l'intenzione, dichiarata, dei religiosissimi Copernico, Keplero, Galileo e Newton. Ma si trattava, appunto di una «particolare concezione», diversa, per esempio, da quella della concorrenza, l'islam. Per la religione islamica le vie di Allah sono imperscrutabili. I cristiani, invece, pensavano che Dio ha dato leggi all'universo perché è Somma Razionalità; anzi, apprezza che le sue creature Lo studino (anche attraverso l'osservazione del creato) perché vuole essere amato. E non si può amare ciò che non si conosce. Per questo i cristiani furono felici di acquisire il contributo arabo alla conoscenza: «Molte società non accettano facilmente l'idea di dover apprendere qualcosa dai propri nemici. Questo non fu il caso dei medievali europei». Invece è il caso dell'odierno Boko Haram, il cui fondamentalismo rigetta in toto la cultura occidentale.

Nel 1085 i cristiani riconquistarono Toledo, nella cui grande biblioteca si trasferì Gerardo da Cremona, che imparò l'arabo e tradusse oltre sessanta opere, tra cui l' Almagesto di Tolomeo, vertice dell'astronomia greca. Tutti questi lavori si diffusero in ogni università europea. Ma perché agli arabi interessava l'astronomia? «Nel momento in cui l'Islam si diffuse dall'Atlantico fino all'India nel corso del secolo VIII, divenne più difficile stabilire in quale direzione si trovasse La Mecca. Per assicurarsi che l'orientamento fosse individuato in modo corretto, i dotti furono, allora, spinti a studiare la posizione delle stelle, e questo stimolò l'astronomia e la trigonometria». Già: ogni fedele doveva pregare rivolto alla Mecca. «Nel secolo IX un califfo fondò a Baghdad un centro di studi chiamato Casa della Sapienza, dove il fior fiore della scienza e della filosofia greca fu tradotta in arabo» da studiosi bizantini, cristiani, che parlavano greco, lingua che in Occidente nessuno più conosceva. Gli europei dovettero ritradurre dall'arabo in latino. Ma, quando molti studiosi greci scapparono dalla Costantinopoli conquistata dai turchi, gli europei fecero quel che agli islamici non era mai passato per la mente: rendere lo studio del greco obbligatorio nelle scuole, cosa che si è conservata fino ad oggi.

Ma perché gli studiosi musulmani, dopo avere dato un contributo importantissimo alle scienze, si fermarono? Per un motivo che, periodicamente, per così dire riazzera la cultura islamica: si afferma una corrente religiosa che oggi definiremmo fondamentalista e ogni studio che non sia strettamente coranico viene scoraggiato o addirittura bandito. Tra l'XI e il XII secolo così accadde: si impose la dottrina hanbalita, rigorista e letteralista, e il califfo abbaside al-Ma'm n, suo seguace, prese a perseguitare chi non era d'accordo. A quel punto la palla passò agli europei. Non c'è qui lo spazio per rendere conto della miriade di sorprese (e di luoghi comuni demoliti) che la lettura delle pagine di James Hannam riserva, solo quello di ammettere, con l'autore, che in fin dei conti la scienza «neutra» non esiste. Essa è sempre guidata, e condizionata, da un'ideologia (che è una religione laica).

Fu il cristianesimo, piaccia o no, a impostarla e indirizzarla nella direzione a cui è arrivata. E oggi, affrancatasi dal suo primo motore, soggiace al positivismo materialista. Un'ideologia (la stessa del «mercato») che la orienta e domina, non di rado costringendola a perdere tempo in vicoli ciechi.

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