S arebbe stato un libro trascurabile se non fosse che l'autore è stato proposto alla Presidenza della Repubblica, alla Presidenza del Consiglio in un Governo di saggi, è stato presidente della Corte Costituzionale ed è una firma da prima pagina di Repubblica.
Dunque un suo libro contro la libertà del mercato non è solo un libro come tanti contro la libertà del mercato, ma è un fatto politico di cui avere memoria. Il volume s'intitola Fondata sulla cultura. Arte, scienza e Costituzione (Einaudi). L'autore è Gustavo Zagrebelsky. Al netto delle speculazioni quasi teologico-papaline (come dice Guido Vitiello sul Foglio) presenti nel testo, è la conclusione del libro che diventa un fatto politico non eludibile: per Zagrebelsky a fronte di una società sempre più specialistica e atomizzata, in cui le conoscenze si settorializzano e la nostra vista si acutizza ma solo nei particolari, occorre «ridare la vista alla politica». Questo deve fare la cultura: ricominciare a parlare di idee generali e progettuali.
Quali? Non ne dice neppure una. Non avanza neppure una grande idea politica (per lo meno la sua). Però individua un anticristo, un male, una forza impolitica, contro cui la cultura deve combattere: la sovrana legge del mercato, quest'ideologia «che domina le società del nostro tempo, condiziona i governi, rende necessaria la loro azione e l'indirizza, chiede ai cittadini sacrifici pesantissimi»; questa ideologia che «non è politica: è il contrario della politica», perché quest'ultima è il luogo delle scelte, mentre l'assolutezza della legge del mercato è invisibile e incontrollabile. «Se la possibilità delle scelte non c'è, siamo fuori della politica o, almeno, della libertà politica».
Dunque per Zagrebelsky la sovrana legge del mercato non è stata scelta dagli uomini, non è stata una libera costruzione sociale; e la politica, invece di porsi come puro argine regolativo, la deve combattere come nemico. Questa è la lezione di Zagrebelsky.
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