Dal cuore di Manhattan al profondo Sud Ecco l’America che non sente la crisi

Sessantunesima Est. Destra: Park Avenue. Loews Hotel Regency, giallo taxi, nero limousine, verde dollari. Qui l’America non sente la crisi, e si vede. Doppio senso di marcia. Tendina verde, ingresso in ottone, zerbino grigio con civico sopra. Settantunesima. Portone: 740 Park Avenue. Un attimo. New York, Manhattan, Upper East Side, zip code 10021. Nove strade in verticale, ventotto in orizzontale. Centounomila abitanti, 56 per cento donne, 44 per cento uomini, 91mila bianchi, 1.400 afroamericani, 6.500 asiatici, 80 indiani americani, 35 hawaiani, 2.500 di altre razze, età media 39,9 anni, reddito medio pro capite 195mila dollari, prezzo medio di un appartamento un milione e seicentomila dollari. La sfida degli Stati Uniti alla crisi entra ed esce da queste case ricche, che secondo la Cnn tutte insieme fanno di quel codice di avviamento postale il più benestante del pianeta. Qui non ci sono code agli angoli delle strade per ritirare i soldi dalle banche. Il ’29 è lontano e invisibile: all’epoca la massa dell’alta borghesia newyorchese fu travolta dalla crisi, adesso in queste strade non si pensa ai debiti. I prezzi delle case vanno ancora su: più 1,3 per cento nell’ultimo semestre, le compravendite crescono dello 0,9.
Ottimisti qui, ottimisti in giro per gli Stati Uniti. Perché c’è un’America che la crisi non la sente. E non è solo il quartiere più ricco del mondo. Se ti spingi nell’America del Midwest arrivi in Iowa e scopri che l’industria del bioetanolo ha portato livelli di sviluppo economico che lo Stato non aveva mai avuto. E siccome anche qualcun altro ha capito che si può guadagnare dal nuovo carburante, è cresciuta la domanda dell’acquisto di terreni per coltivare altro granoturco. Così a fine 2007 le superfici di suolo ad alta qualità sono salite da 11mila a 13mila dollari l’ettaro. Così anche in Indiana e in Illinois. Allora chi ha qualche proprietà non sta messo poi così male. Non sono quattro multinazionali e via: c’è qualche migliaio di piccoli e medi imprenditori agricoli che la recessione la leggono sui giornali, ma non la vivono. Sorridono e se non se la godono è solo perché l’abitudine a lavorare ogni giorno dieci ore al giorno li tiene a bada.
A Ovest, ancora. Warsaw, Indiana. Dodicimila abitanti nel 2000 e un boom economico che ha fatto schizzare il livello della qualità della vita. Perché qui, in questa cittadina, tutti vivono e guadagnano con l’industria ortopedica. Tre delle cinque più grandi aziende al mondo di protesi e attrezzature ortopediche hanno sede qui e danno lavoro praticamente a tutti. Un giro d’affari di una ventina di miliardi di dollari che non finiscono ovviamente tutti nelle tasche dei lavoratori, ma che portano benefici a ripetizione. A Warsaw non esiste disoccupazione, la gente che vive sotto la soglia di povertà è quattro punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale. Piccolo, pulito, lavoratore. Questo piccolo pezzo d’America macina record e non sa che cosa sia un segno meno davanti a un bilancio. Cresce. Cresce la società, cresce l’economia, cresce la demografia. Il benessere e l’ottimismo hanno portato l’immigrazione interna: a Warsaw arrivano in migliaia per lavorare. Il tasso di crescita demografica è il più alto di tutto l’Indiana: le stime del prossimo censimento dicono che nel 2010 gli abitanti saranno 39mila, più del triplo rispetto al 2000.
Non basta. Non ancora. La depressione è uno spettro che l’America non sopporta. Questa è ancora la terra del sogno: le tv raccontano la catastrofe, gli analisti vogliono smentire Bush che non parla di recessione, i giornali spingono Bernanke che teme il collasso. Però la gente spera. Fiducia è password per la felicità. Allora l’università del Michigan spara l’ultimo report sull’indice di fiducia dei consumatori e s’accorge che c’è un Paese che non vuole mollare. Stringi i denti e vai avanti: 61,2 punti la fiducia a luglio, molto di più delle aspettative che erano ferme al 56,6. Si va avanti perché tutto questo deve passare. Si va verso Sud. Perché l’America che non sente la crisi va verso il sole: passa per Aurora, la terza città più popolosa del Colorado: qui l’economia è in fase di boom e sta divenendo business leader in alcune aree chiave come le biotecnologie, l’aerospazio e l’high tech. Si scende ancora. Nevada, Arizona, Texas. Texas, sì. Houston è la città del futuro. Più, più, più. Non ci sono fattori negativi, non c’è pessimismo, non c’è paura. Qui il ciclo economico pesante è finito con la tempesta Enron. Adesso si va, si cresce, si gode. A giugno Houston ha avuto un aumento dei prezzi delle case dell’1,3%. Standard & Poor’s-Case Shiller dicono che le compravendite calano nelle principale venti città d’America, ma qui no: più 29 per cento per le case con prezzi inferiori ai centomila dollari. Houston non ha problemi. Ha un Pil superiore all’Austria, alla Polonia e anche all’Arabia Saudita. Qui ci sono colossi dell’hi-tech come Texas Instruments o dell’energia come Exxon Mobil. Gli economisti la chiamano la «crescita che produce crescita»: «Più persone arrivano e più aumenta la domanda di beni e servizi, portando a un balzo dei profitti privati, alla discesa dei prezzi in ragione della concorrenza nell’offerta e alla creazione di posti di lavoro». La statistica aiuta sempre: a marzo scorso la disoccupazione degli Stati Uniti era salita al 5,4 per cento, mentre in Texas s’è fermata al 4,2. Non s’è più mossa. E chi trascina la locomotiva? Houston, dove solo a febbraio sono stati creati oltre 100mila nuovi posti.
Funziona il Texas. Funziona anche altrove: a Plano, per esempio. Eccola la città dove l’America sperimenta il suo futuro. È il miglior posto dove cominciare un affare. È il miglior posto dove vivere e lavorare. Lo dice una classifica di Salary.com, un’altra di Cnn e un’altra ancora di Forbes. Ci sono i quartier generali di Cinemark, di Dr Pepper e di Frito Lay, società che fa capo a PepsiCo, della Ericsson. Qui la reputazione dice che i lavoratori si godono la vita. La popolazione è raddoppiata in vent’anni ed è cresciuta del 5 per cento negli ultimi sette mesi. Qui vive Lance Armstrong.

Qui vive Ross Perot, l’uomo che fece perdere le elezioni a George Bush padre e le fece vincere a Bill Clinton. Forse fece un errore, però con Clinton l’economia Usa è l’unica cosa che ha viaggiato veloce. È una coincidenza, o forse no.

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