
Curve rosso sangue e nero mafie. A un anno dall'omicidio del rampollo del clan Antonio Bellocco, scannato il 4 settembre dell'anno scorso dall'amico Andrea Beretta con 19 coltellate, sei al cuore e cinque al collo, il quadro desolante che emerge dall'inchiesta della Squadra Mobile milanese coordinata dai pm Paolo Storari e Sara Ombra della Procura di Milano è sconcertante. Legami profondi tra tifoserie ed esponenti di 'ndrangheta, traffici di droga anche con la Calabria, una "gestione con modalità estorsive" dei parcheggi di San Siro che andrebbe avanti da 10 anni (c'è un filone per usura, estorsioni e false fatture), interessi su merchandising e bagarinaggio e una frattura quasi insanabile tra società e tifoserie.
Il campionato è appena iniziato, gli ultrà sono in subbuglio, senza striscioni e senza cori perché a un manipolo di tifosi (circa 150 su circa 12mila ultras in tutto) è stato impedito l'abbonamento in Curva (ma non negli altri settori né il singolo biglietto). Una misura concordata con inquirenti e forze dell'ordine, anche per dare un segnale di discontinuità con il passato. Nel "sodalizio criminoso" di cui facevano parte Beretta (auto accusatosi dell'omicidio di Vittorio Boiocchi, leader storico della curva nerazzurra, irrisolto dal 2022) e l'alter ego milanista Luca Lucci - alle prese con un altro filone per droga che si aprirà a novembre - c'erano anche altri storici tifosi condannati per una pletora di reati, come i tre ultras rossoneri Christian Rosiello, Riccardo Bonissi e Francesco Lucci, il braccio destro di Lucci Daniele Cataldo, ritenuto anche l'esecutore materiale del tentato omicidio del 2019 dell'ultrà milanista Enzo Anghinelli e la spalla di Beretta, Marco Ferdico, fino a Christian Ferrario, presunto "custode" dell'arsenale di armi a disposizione degli ultrà.
A giorni verrà depositata la sentenza del processo Doppia Curva emessa lo scorso 17 giugno, il coinvolgimento della 'ndrangheta e le infiltrazioni sono ancora oggetto di indagini: Bellocco avrebbe agito per conto proprio, forte del suo potente e sanguinario cognome, senza interessare direttamente le 'ndrine. In una città dove, prima dell'omicidio del rampollo - che ieri sera è stato ricordato in una commemorazione religiosa gremitissima a San Ferdinando - la pax mafiosa che regge faticosamente ha consentito alle cosche di muoversi indisturbate, intrecciando alleanze con le altre mafie (inchiesta Hydra) e espandendo il controllo su esercizi commerciali da sfruttare per riciclare i soldi del narcotraffico. Il contagio dell'economia legale è in corso da anni sottotraccia, servono mesi di lavoro per risalire alle alchimie contabili che sfruttano bar, ristoranti, tabacchini e altri negozi ad alta circolazione di contante.
Davanti al Palazzo di Giustizia, in un bar intestato al genero incensurato di un boss, si organizzava il "recupero crediti", qualcuno cercava persino di avere informazioni sui magistrati che lo frequentavano. Ma l'accusa di associazione mafiosa non ha retto.