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D’Alema confessa poi si vergogna: "Sinistra anti-italiana? Sì, anzi no"

D’Alema confessa poi si vergogna: "Sinistra anti-italiana? Sì, anzi no"

Per un’intera mattinata ci siamo compiaciuti di credere che l’intelligentissimo D’Alema fosse, oltre a tante altre cose, anche un patriota. Il virgolettato non lasciava spazio a dubbi: «C’è un antiberlusconismo che sconfina in una sorta di sentimento anti-italiano» affermò, papale papale. Aggiungendo: «Questa concezione di una minoranza illuminata che vive in un Paese disgraziato è l’approccio peggiore, subalterno, che possiamo avere». Tutto molto ben detto. D’Alema, al solito, arrivava un po’ in ritardo ma finalmente l’aveva capita: l’antiberlusconismo che si approvvigiona nelle concimaie de La Repubblica e che pertanto è così facile da esportare (il letame va forte nel circo equestre massmediatico) compromette l’immagine del Paese, ridicolizzando il «made in Italy» che nel cuor ci e gli sta. Giusto quindi che con piglio garibaldino ne prendesse le distanze, approfittando dell’occasione per liquidare come cialtronesca una certa «minoranza illuminata» (i repubblicones? I dipietristi? I santotravaglisti? O non proprio Franceschini e la sua band?) che dell’antiberlusconismo più tanghero hanno fatto la loro bandiera.
Ma è bastato aspettare il primo pomeriggio per doversi ricredere: niente moto patriottico, niente difesa dell’Italia e della italianità. D’Alema ha mandato infatti a dire che le sue parole erano state interpretate male e anzi, «in modo un po’ furbesco». E che lui intendeva dire solo questo: «La sinistra non può arroccarsi in una posizione pregiudiziale e antiberlusconiana». Nessuno è intelligente come D’Alema, questo è un dato di fatto, ma anche a cervelli ben allenati non è che risulti tanto chiaro come si possa furbescamente fraintendere quello sconfinamento «in una sorta di sentimento anti-italiano». E un conto è dire che pescando nella concimaia di Largo Fochetti la «minoranza illuminata» ha fatto la scelta peggiore e più subalterna, un conto vagheggiare, neanche fossimo a un tè della contessa zia, di arroccamenti e di pregiudiziali. Ma D’Alema, detto nel giro, se non sbaglio, «qui lo dico e qui smentisco», è fatto così. Gli capita di esprimere quello che pensa, salvo a pentirsene subito dopo accusando la stampa di travisare il suo pensiero (restano indimenticabili le maschie parole che pronunciò a Montecitorio: «L’ho detto una volta per tutte, con validità erga omnes, con valore perpetuo: quello che scrivono i giornali è sempre falso»).
Peccato. Perché avremmo suggerito al D’Alema tricolore di passare ai fatti, cominciando coll’ordinare agli europarlamentari di fede democratica di non votare l’iniziativa ribaldamente anti-italiana di quell’unno di Antonio Di Pietro e cioè la risoluzione sulla libertà di stampa in pericolo perché il Cavaliere ha querelato La Repubblica e l'Unità. Tuttavia, anche se seguita dall’ammainabandiera, l’uscita dalemiana un utile l’ha comunque prodotto, rassicurando tutti noi sulla caratura dei vertici del Partito democratico. Sentitosi chiamato in causa, Dario Franceschini non s’è infatti tenuto, uscendosene con questa strabiliante, spassosissima panzana: «Io non so che cosa sia l’antiberlusconismo, è una categoria inesistente». Ora va bene essere democristiani, va bene anche fare i finti tonti, se si ritiene che ciò torni utile alla causa. Ma da uno come il Franceschini, che ha portato il suo antiberlusconismo alle vette ideologiche e culturali del «piove, governo ladro», ci si sarebbe attesi una difesa d’ufficio un po’ meno lazzarona. Siccome si dice che il sacco dia la farina che ha, se quello è il sacco e quella la farina bisogna proprio ammettere che la sinistra è con le pezze al sedere.

E la Serracchiani non ha ancora l’età.

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