D’Alema e Bertinotti separati in Camera

Lo staff del leader ds: «Se perde la terza carica dello Stato, andrà agli Esteri»

Gianni Pennacchi

da Roma

Piero Fassino la chiama impasse, ma quella in corso nel centrosinistra è una vera e propria battaglia, sorda e dura, che vedrà inevitabilmente concludersi con almeno un campione abbattuto. Il braccio di ferro tra Ds e Rifondazione per la conquista della poltrona più alta di Montecitorio ieri sera era ancora in corso, nonostante un faccia a faccia tra i due candidati, Massimo D’Alema e Fausto Bertinotti ambedue in trasferta a Bruxelles, un incontro serale del segretario della Quercia con Romano Prodi (toccherà al premier in pectore, sciogliere il nodo?), e Clemente Mastella che propone di sparigliar la partita offrendo la presidenza del Senato a un «buono» dell’opposizione e azzerare la corsa interna per la Camera.
Il guaio è che tutto si tiene in precario equilibrio, se sposti l’alfiere alla Camera si schianta il cavallo al Senato, e poi per il Quirinale che fai, imbocchi il percorso di guerra? Rischi la dissoluzione prima ancora di ricevere l’incarico per formare il governo. Che l’aria sia gelida e tempestosa, nonostante la gioia di facciata per il verdetto della Cassazione, lo dimostra proprio la corsa al ralenti per entrare nel governo: poiché i Ds hanno avuto il coraggio di stabilire prima delle elezioni che gli eletti chiamati a fare il ministro o il sottosegretario dovranno lasciare ad altri lo scranno di senatore o deputato, ora non c’è nessuno in quel partito disposto ad accettare una tal «promozione». Prodi, dalla Quercia, può contare solo sugli esclusi dalle liste.
Muoviamo però dalla prima tappa. Appuntamento al 28 aprile, seduta inaugurale del nuovo Parlamento, col primo scrutinio per l’elezione dei presidenti delle due Camere. Al Senato, la contesa tra Franco Marini che s’è candidato lì da un anno e mezzo e Clemente Mastella, pare essersi risolta con la rinuncia del leader del Campanile, al quale è stato promesso come consolazione il ministero della Difesa, ricco di portafoglio, dipendenti e vetrine internazionali. Mastella però, un poco per carattere e un poco per intelligenza, ha sì rinunciato a correre contro Marini ma ora rilancia su una pista diversa: poiché è tradizione che il presidente non voti, dunque il vantaggio dell’Unione a Palazzo Madama si farebbe ancor più esiguo, «dovremmo concordare con il centrodestra». E ieri sera, per notificare che la partita non è affatto chiusa, essendo la Difesa soltanto una promessa, l’Udeur ha formalmente chiesto «un vertice dei leader dell’Unione» per «definire i criteri di scelta» dei delegati regionali che parteciperanno all’elezione del nuovo capo dello Stato.
Ancor più pesante e insostenibile appare il surplace sulla Camera. Le dichiarazioni delle parti contendenti alzano un muro contro muro: dopo il Fassino che formalizzava lo «scontento» dei Ds, «primo partito della coalizione», se Bertinotti venisse preferito a D’Alema, da Rifondazione è uscita una nota al fulmicotone: «Chi pensa che per Rifondazione la presidenza della Camera possa avere delle subordinate o compensazioni con più ministeri, non conosce la politica attuata dal Prc e scambia lucciole per lanterne». Insomma, non c’è possibilità «di trattativa e nessuna subordinata», ha spiegato Franco Giordano rimarcando il rifiuto di ogni «logica di scambio o di baratto», Rifondazione non parteciperà mai «a un mercato». Sono allora usciti i dalemiani di spicco, Peppino Calderola a ribadire come «candidato unico» alla Camera D’Alema, «se Prodi scegliesse Bertinotti non saremo contenti», e Nicola Latorre a precisare che «D’Alema non ha posto nessun problema, sono i Ds che ritengono così di raggiungere il migliore equilibrio politico e istituzionale nella coalizione». D’Alema ha infatti disertato la riunione di segreteria, per volare all’Europarlamento. Ha fatto il viaggio insieme a Bertinotti, e con lui ha pure avuto un colloquio, nel suo ufficio. All’uscita, Bertinotti non aveva «nulla da dire», e D’Alema ha detto che il problema non lo riguarda, semmai «riguarda i Ds e Fassino che ne è segretario». Il quale Fassino, nella segreteria senza D’Alema, avrebbe promesso di andare «fino in fondo». Come? «Queste - ha spiegato - sono cose che non si risolvono in un attimo, occorre la capacità di dialogare e trovare soluzioni per uscire da questa impasse».
Pare che a Bruxelles, Bertinotti abbia detto a D’Alema che se gli intralcia la strada, può scordarsi il suo appoggio nella corsa al Quirinale. D’Alema ovviamente, vorrebbe intanto l’uovo oggi, in attesa della gallina. La Velina rossa però, dalemiana da sempre, ricorda che D’Alema in verità preferirebbe la Farnesina a Montecitorio, ma poiché Fassino vuol fare lui il ministro degli Esteri (Francesco Rutelli s’è già preso gli Interni), deve a ogni costo onorare il padre. Anche contro Prodi, che con Bertinotti terza carica dello Stato avrebbe più garanzie di stabilità. Gli uomini di D’Alema dicono che alla fine prevarrà Bertinotti.

E del loro campione? «Fassino a quel punto, farà bene a lasciargli gli Esteri. Diversamente, non è escluso che Massimo se ne resti all’Europarlamento». Ma sì, la commissione Caccia e pesca di Bruxelles è senza dubbio più stabile di questa XVI legislatura.

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