D’Alema getta la maschera e torna ad essere «Cattivik»

La nuova strategia del presidente Ds: basta buonismo con alleati e avversari

Luca Telese

da Roma

E dire che due anni fa aveva provato a convincerci e c’era quasi riuscito: «Sapete, sto diventando buono...». Seeh, buono! Lui? Figurarsi. Ed infatti Massimo D’Alema lo ripeteva, ogni tanto, con lo stesso ruggito dei leoni in gabbia, che ti fanno pensare: non ci fossero le sbarre, questo qui la mano me la sbrana. Lui lo sapeva bene, ci giocava su, e intanto, mentre affilava le zanne, strappava la risata ai compagni della feste de l’Unità: «Scusate, ma quando sento parlare certi leader di cespugli, vorrei dire... Ma poi ci passo sopra, sto provando a diventare buono». Era una gag, ovvio, veniva giù il tendone dal ridere, anche allora non ci credeva nessuno.
Addio ai risotti. Infatti, come le rondini a primavera, con l’approssimarsi della campagna elettorale, è rispuntato il D’Alema vero, il D’Alema che pare il mitico e indimenticabile «Cattivik» di Bonvi: leonino, beffardo, cazzutissimo e soprattutto cattivo come non mai. È finito in soffitta l’ex premier che profetizzava «una paese normale», non si vede più il casalingo e rassicurante cuocitore di risotti, ci siamo subito scordati di quello un po’ imbarazzato che provava a fare il piacione provando maldestramente a cantare C’era un ragazzo da Gianni Morandi (Domanda: Ma perchè nessuno dei leader dell’Ulivo - dal lìder maximo a Prodi a Fassino - sa cantare?), e neanche si vede più lo statista che si faceva fotografare in mezzo alle scolaresche, manco fosse Berlusconi. Un altro desaparecido? Il D’Alema che pareva convertito al prodismo e ci spiegava con tono quasi sommesso che il leader era il professore, che lui si era ravveduto... Fesserie! (direbbe giustamente il D’Alema-Cattivik). E infatti ieri, intervistato per Il Venerdì da Curzio Maltese è ricomparso baffino di ferro: «Prodi non è stato il solo a beneficiare dei miei presunti complotti: per mesi, dopo le mie dimissioni da Palazzo Chigi, sono rimasto qui nel mio ufficio a meditare sui bersagli delle mie astute trame: Prodi - ha ricordato sarcastico D’Alema - era presidente dell’Unione Europea, Ciampi presidente della Repubblica, Veltroni sindaco di Roma. E io, unica vittima dei miei complotti, dirigevo la fondazione Italianieuropei...».
Urlaccio a Casini. Dopodichè napalm. Il primo a finire sotto il rullo compressore del presidente dei Ds è stato il leader dell’Udc Pierferdinando Casini. Il malcapitato ha avuto la sventura di incocciare con... Cattivik a Ballarò. Mentre stava parlando di candidature (e di quella delicatissima di Totò Cuffaro in Sicilia) D’Alema è partito. Occhio sgranato e roteante, voce che sale... «Si-le-nzio! Si-le-nzio!», nemmeno fosse uno scolaretto. Poi Max è passato alle parole di fuoco anche con Gianfranco Fini. Quello, da ottimo pugile lo stava mettendo nell’angolo e lo tempestava di ganci sugli impresentabili dell’Unione, e lui: «Ferrando? Chi ce lo manda?». Fini, ridendo: «Nessuno, te lo manda». Poi il leader di An era passato a martellare su Caruso, sui no-global, sulle guerre: «Nell’album di famiglia della sinistra ci sono anche dei criminali».
Fosforo dalemiano. A quel punto Cattivik era di nuovo apparso tra i baffi di D’Alema: «Se i kamikaze sono assassini lo è anche chi usa fosforo bianco contro i civili... È quello che è successo a Falluja dove il fosforo lo hanno usato gli americani». Finito? Macchè, anche ieri Cattivik-D’Alema tornava a usare il randellone della parola grossa, altro che Diciamo e dialogo fra i poli.
Terzo mondo. Dalla tribuna di Radioradicale sparava un siluro allarmistico sulle sorti delle elezioni: «Dicono che verranno gli osservatori Osce per le prossime elezioni... siamo a metà strada tra mondo civile e terzo mondo». Allora improvvisamente ti ricordi del D’Alema doc: quello che era arrivato a dire di Berlusconi «Voglio vederlo chiedere l’elemosina all’angolo della strada» che diceva degli «amici» Prodi e Veltroni «Sono due flaccidi imbroglioni», e persino (parlando degli avversari interni ulivisti): «È mia abitudine, quando uso la scopa, spazzare negli angoli». Ti ricordi anche di un altro D’Alema dimenticato, che nel 2001 diceva: «Prima o poi vedremo Berlusconi con uno scolapasta in testa». O anche: «Berlusconi mi ricorda Kim Il Sung» (13 luglio 1994). E ancora: «È un buffone, un grandissimo bugiardo, uno squadrista della tv. È l’espressione del cinismo sovversivo antinazionale che è la vera faccia della destra in Italia» (5 marzo 1995). Ovviamente è altrettanto bello usare come termometro degli umori del presidente ds le quotazioni che attribuisce alle sue mitiche scarpe. Quando fece la battuta a casa Reichlin valevano «un milione e mezzo», nelle interviste successive «molto meno», in quelle rilasciate dopo qualche mese «Poco, pochissimo, le fa un artigiano amico di Minniti». Ieri - svalutation! - ha detto a Maltese: «Costano 120 euro al paio». Divino. Così, dopo che hai rimesso in fila questa piccola antologia, la prima cosa da dire è che - chiaramente - il leader Maximo si diverte.

La seconda è che le metamorfosi buoniste della politica italiana sono labili come le intenzioni dei leader. Allora dateci Cattivik, il fosforo, l’Osce, e gli scolapasta, ma non raccontanteci più che D’Alema «è diventato buono». Lo prenderemmo come un insulto. E grideremmo in coro: «Si-le-nzio!».

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