Luca Telese
da Roma
«Conosco Massimo DAlema da molti anni, lo conosco bene. Abbiamo avuto momenti di grande distanza, ma anche periodi di collaborazione schietta e sincera... Mi rifiuto di credere che la logica di questa candidatura possa diventare: muoia Sansone con tutti i filistei. Credo che, dopo tanti errori, anche per i Ds sia giunto il momento di cercare una logica condivisa, un nuovo metodo». Parola di Lanfranco Turci, deputato della Rosa nel Pugno (uno degli uomini-simbolo della nuova formazione) ma anche, in questo caso, ex dirigente di primo piano dei Ds. Ed è forse per questi due motivi che Turci è fra gli uomini più indicati per decrittare il conflitto che in queste ore oppone i radicalsocialisti ai diessini, proprio nel momento in cui il partito di Piero Fassino continua a spingere per lelezione del suo presidente sul Colle più alto della Repubblica.
Turci, qualcuno vi accusa di «sabotare» la candidatura di Massimo DAlema proprio nel momento più delicato della trattativa.
«Ed è assurdo. Vede, lei oggi mi ha strappato a un convegno sulla bioetica che dura da dodici ore: non respiro laria dei vertici romani, forse sono un po distante, ma mi riconosco pienamente nella posizione assunta dal mio partito, che abbiamo discusso e concordato in questi giorni».
Questa posizione suona come un no a DAlema...
«Al contrario: non è certo un fatto personale. Noi stiamo ponendo un problema molto semplice: per una candidatura di questa delicatezza il metodo da seguire deve imporre ampie convergenze, ricerca di consenso, nuovi equilibri... tutto il contrario di quello che è accaduto fino ad ora».
I Ds hanno messo in campo il loro asso.
«Sì, ma questo nome è stato imposto come se si trattasse di una sfida e di una rottura! Sia rispetto alla coalizione sia rispetto allopposizione: non solo...».
Che altro?
«Trovo che sia un argomento profondamente sbagliato quello di chi sostiene che la presidenza a DAlema sarebbe una sorta di atto risarcitorio per il suo partito. Un ragionamento che suona così: i Ds non hanno avuto cariche, allora stavolta gli tocca...».
Perché, lei considera possibile che la Quercia non abbia nessuna delle poltrone istituzionali?
«Considero più di tutto inaccettabile lidea che la presidenza della Repubblica possa entrare a far parte di una sorta di pacchetto compensativo rispetto ad altre cariche. È stata una impostazione sbagliata, questa, da parte dei miei compagni diessini».
Tutto è iniziato a Montecitorio allora?
«Io ho pensato che fosse legittimo, e anche opportuno che Fausto Bertinotti diventasse presidente della Camera. Se i Ds pensavano che si trattasse di vita o di morte, potevano fare una proposta per Palazzo Madama».
Ma lì cera Marini!
«E perché cera? Vede, è proprio questo metodo che è sbagliato. E adesso non si può certo utilizzare largomento di Vincenzo Visco, quello secondo cui se DAlema non viene eletto pagherà tutta la coalizione».
Lei viene dai Ds. Conosce quel partito, sa bene che il problema ci sarebbe comunque.
«Mannò... questa idea che se una candidatura non va in porto chissà quali sfracelli ne potrebbero derivare per i Ds non mi convince, e se fosse vera non dovrebbe comunque essere utilizzata. E poi, lincarico di esploratore a Ricky Levi serve proprio a capire se ci sono convergenze diverse su questo o su altri nomi».
Lei ne ha due, nella Quercia, che sono molto vicini alla sua cultura riformista. Non li fa?
«Certo che li faccio: Giuliano Amato e Giorgio Napolitano sarebbero ottimi presidenti. Perché non anche loro? Ripeto: la maggioranza ha il diritto e il dovere di esprimere un nome, ma sul nome di quel candidato si deve cercare il massimo di rappresentatività e il massimo di coesione possibile».
Ripeto, lei sa bene che una sconfitta di DAlema in casa diessina sarebbe vissuta come un lutto.
«No, non ci credo: sono in gioco interessi superiori, mi rifiuto di credere che un partito possa seguire questa logica e mi rifiuto di pensare che DAlema si possa comportare da irresponsabile. Lo stimo troppo per pensare che la logica sia questa: continuo a confidare nel metodo Ciampi».
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