D’Alema predica, poi vuol candidare un indagato

La prossima settimana l’udienza preliminare. Un coindagato, ex sindaco ds, ha già scelto di patteggiare

Stefano Filippi

L’onorevole Massimo D’Alema non candiderebbe mai personaggi indagati per mafia o rinviati a giudizio. È un garantista, l’ha ricordato anche l’altra sera in tv a Pier Ferdinando Casini durante Ballarò; tuttavia anche al garantismo c’è un limite e uno come Totò Cuffaro, il governatore siciliano sotto inchiesta per mafia, in Parlamento proprio non deve finire. Ma può finirci un personaggio indagato in due procedimenti penali, sul quale pendono le accuse di concorso in corruzione e concorso in abuso d’ufficio, che fra una settimana, venerdì 17, potrebbe essere rinviato a giudizio. D’Alema sì che lo candiderebbe, perché è garantista, suo amico e suo compagno di partito in Puglia, il bacino elettorale del presidente dei Ds.
Carmine Dipietrangelo, 56 anni, è uno dei proconsoli dalemiani a Brindisi, legato a filo doppio all’ex premier come gran parte della Quercia pugliese. Il suo curriculum è tutto diviso tra l’attività sindacale nella Cgil e la lunga militanza prima nel Pci e ora nei Ds che l’ha portato in consiglio comunale a Brindisi come capogruppo, in Regione come vicepresidente, fino all’incarico attuale di responsabile regionale Ds per gli enti locali. Un politico abile e spregiudicato: fu lui a suggerire il clamoroso ribaltone del 1999 al comune di Brindisi, quando convinse il sindaco Giovanni Antonino a voltare le spalle al centrodestra e mettere in piedi una nuova giunta di centrosinistra. E oggi il suo nome è il più gettonato tra i ds di Brindisi per un posto sicuro alla Camera il 9 aprile.
Ma Dipietrangelo è anche tra i 27 imputati nella tangentopoli brindisina che tra otto giorni compariranno davanti al giudice per l’udienza preliminare che dovrà decidere sulle richieste di rinvio a giudizio presentate dai pubblici ministeri Giuseppe De Nozza e Adele Ferraro. L’accusa contro di lui è di avere preso una mazzetta di 100 milioni di lire da un imprenditore brindisino, Biagio Pascali. L’inchiesta portò in carcere imprenditori e politici, tra i quali lo stesso sindaco di allora, e fece crollare la giunta ispirata da Dipietrangelo. Antonino ha patteggiato ed è uscito dall’inchiesta assieme all’ex presidente del consiglio comunale Ermanno Pierri (Udeur) e a due personaggi minori. Con Dipietrangelo sono coinvolti anche due rappresentanti della Margherita, Gino De Michele e Franco Leoci, uno di Forza Italia, Marco Pezzuto e un ex assessore.
Le indagini dei carabinieri scoprirono versamenti per centinaia di milioni collegati agli appalti per le pulizie degli autobus, per la realizzazione di un centro commerciale, per la manutenzione dell’illuminazione pubblica. Il gip che autorizzò gli arresti parlò di «devianza politico-istituzionale» riferendosi alla giunta di centrosinistra guidata da Antonino. Dipietrangelo, che ha sempre proclamato di essere estraneo ai fatti per i quali è indagato, subì anche una perquisizione domiciliare (dall’esito negativo) che fece scalpore.
Quando ricevette gli avvisi di garanzia, non lasciò l’incarico di vicepresidente del consiglio regionale ma scrisse al presidente invitandolo a «soprassedere dall’affidarmi incarichi di delega o di sostituzione». Alle ultime elezioni regionali non si è ripresentato, forse puntava già alle politiche del 2006. Secondo il segretario dei Ds brindisini Onofrio Cretì, Dipietrangelo è inserito in una terna di nomi da sottoporre alla direzione provinciale che deciderà la candidatura. Con lui sono in lizza il presidente della Camera di commercio Salvatore Tomaselli e l’ex deputato Cosimo Faggiano, ma Dipietrangelo è il favorito anche per la sua vicinanza a D’Alema.

Nella Quercia di Brindisi serpeggia un certo imbarazzo: la designazione sarebbe già avvenuta se le cose non fossero complicate dall’udienza di venerdì 17. Ma il presidente Ds è tranquillo. Lui è garantista, e non è superstizioso.

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