Dai Beatles a Lucio Battisti tutti i dischi mitici del 1969

I segreti dei 300 album usciti nei dodici mesi passati alla storia come un'esplosione di creatività rock e pop

Dai Beatles a Lucio Battisti tutti i dischi mitici del 1969

Il 1969. Cinquant'anni fa esatti, la creatività musicale toccò il suo apice. Ci furono Woodstock, Altamont e il primo Festival dell'Isola di Wight. Al cinema approdavano film «rock» come Midnight Cowboy e Easy Rider e la musica viaggiava libera sulla Route 69, titolo del libro di Mox Cristadoro (Tsunami, pagg. 240, euro 19) che ha per sottotitolo Il 1969 a 33 giri e raccoglie quasi 300 album che bene o male hanno lasciato un segno nella storia del rock. Certo non sono tutti Abbey Road (di cui esce in questi giorni il cofanetto con inediti) o Tommy dei Who, forse il più alto esempio di art rock, ma hanno comunque tutti una storia da raccontare. Come il secondo, eponimo, album di David Bowie, poi reintitolato Man of Words Man of Music e infine Space Oddity, dichiarato omaggio al Kubrick di 2001. Odissea nello spazio, che mostra già la visione teatral musicale del personaggio. È l'anno del gioiellino nihilista di Nick Drake Five Leaves Left, ancora insuperato per contenuti ed emozioni a così tanti anni dal suicidio dell'artista. Saltabeccando qua e là c'è naturalmente il sofisticato Let It Bleed - l'ottavo album dei Rolling Stones che segna l'addio di Brian Jones - con l'ancora oggi insuperata You Can't Always Get What You Want e tante invenzioni sonore sul classico sottofondo rock blues. C'è la nascita e al tempo stesso l'apoteosi del rock progressivo con In the Court of the Crimson King, «la posa della prima pietra per edificare la muraglia di creatività sonora appannaggio di Robert Fripp ma anche dei suoi compagni di avventura, da Greg Lake a Ian McDonald, da Michael Giles al quinto elemento Peter Sinfield». Insieme McDonald e Giles pubblicarono a loro volta un album mitico.

Quell'anno esplodeva il rock in tutte le sue molteplici forme ma anche negli altri generi il mondo della musica ribolliva. Bob Dylan tornava al country d'autore con i colti paesaggi sonori di Nashville Skyline, cui collaborano anche Johnny Cash e il mago della chitarra «flat picking» Norman Blake. Anche se fu scartata per la colonna sonora di Un uomo da marciapiede, Lay Lady Lay rimane un classico. Sempre per il country rock (quello doc, che anticipava i tempi e dilaniava gli stereotipi di Nashville) un classico rimane The Gilded Palace of Sin, esordio dei Flying Burrito Brothers, dopo la pionieristica esperienza psycho country dei Byrds (da lì arrivano soprattutto Chris Hillman e il prematuramente scomparso Gram Parsons). Si dividevano tra brani acustici di tradizione popolare e lunghissime jam session psichedeliche i Grateful Dead di Jerry Garcia, che quell'anno pubblicarono il convulso Aoxomoxoa, senza dimenticare le quattro facciate di Live/Dead con i 23 minuti di Dark Star, che ha fatto la storia dei loro infiniti concerti dal vivo. «Cugini» dei Dead nello spaziare dal country ai suoni lisergici, i gloriosi Quicksilver Messenger Service di John Cipollina (chitarrista di culto) che pubblicarono il colorito Happy Trails (con l'inconfondibile disegno in copertina del cowboy a cavallo) e Shady Grove con Nicky Hopkins al pianoforte.

Nel 1968 la creatività di Jim Morrison è già prepotentemente minata dai suoi guai psicofisici. Così l'anno successivo l'uscita di The Soft Parade, quarto album dei Doors unisce il loro viscerale blues a echi pop e jazz. Un disco inferiore alla loro media ma con un brano come il singolo Wishful, Sinful che merita il suo posticino nella storia del rock.

Quelli citati finora sono album basici che tutti conoscono; più difficile andare a ritrovare il rock blues di artisti come l'organista Al Kooper (già sodale di Dylan nella sua svolta elettrica) e il chitarrista Mike Bloomfield, tanto grande stilisticamente quanto limitato dalla tossicodipendenza. Di quell'anno vanno citati almeno quattro lavori ovvero The Live Adventures of Mike Bloomfield and Al Kooper, Kooper Session con Shuggie Otis, l'album dal vivo al Bill Graham's Fillmore West e You Never Know Who Your Friends Are del solo Kooper. Decine sono i gruppi di hard rock o hard blues che emergono, tra cui i Taste del virtuoso chitarrista irlandese Rory Gallagher che quell'anno pubblicò l'eponimo Taste ma che ha dato il meglio (alla grandissima) in album dal vivo come Irish Tour. Ci sono gli americani Grand Funk Railroad, anch'essi un trio che picchiava duro, gli Argent di Rod Argent, i cattivi Steamhammer che pubblicarono ben due dischi così come la Keef Hartley Band, gli Strawbs innamorati del folk inglese. Tra le curiosità c'è l'album di debutto solista del leone dalla voce roca Rod Stewart, che dopo l'esperienza con i Faces e con Jeff Beck, regala The Rod Stewart Album, come si intitolava in America, che in Inghilterra prese il titolo di An Old Raincoat Won't Ever Let You Down. Parlando di future superstar, esce anche Empty Sky di Elton John, allora serioso e intimista giovane re del pianoforte in coppia con Bernie Taupin. Nel 1969 brilla ancora la fulgida stella di Re Elvis con From Elvis in Memphis, cavalcata rock-pop-soul-country di qualità.

In questo sabba di musica ci sono anche dischi da tutto il mondo, persino, perché no, dall'Italia, dove spiccano Quelli (con il disco omonimo), il collettivo Stormy Six con l'album dal programmatico titolo Le idee di oggi per la musica di domani, Ad Gloriam, il concept album de Le orme e il classico Lucio Battisti con perle come Il vento e Non è Francesca.

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