Dalle paludi al nucleare: la Smutniak 20 anni dopo

Da domenica su Canale 5 la seconda serie di "Questa è la mia terra" che racconta le vicende di una famiglia di coloni dell'Agro Pontino

Dalle paludi al nucleare: 
la Smutniak 20 anni dopo

Roma - «La terra è sempre la terra. Certo, non si tratta più di un mondo contadino; degli amori e dei contrasti d’una cultura che non esiste più. Ora il contesto è borghese; i contrasti sono quelli familiari, e legati a una società che è in piena trasformazione. Ma i personaggi sono gli stessi. Gli stessi di prima. Solo vent’anni dopo».

Ecco la formula che potrebbe ripetere il bis del successo di Questa è la mia terra. Raccontare il seguito della storia, ma saltando una generazione. E ripresentando gli stessi personaggi (che avevamo lasciato al 1943) nel frattempo invecchiati e maturati, alle soglie del 1958. Ecco la formula di Questa è la mia terra - Vent'anni dopo: serie Mediaset in sei serate, a partire da domenica 20 su Canale 5, che tornerà a raccontare di Giulia (Kasia Smutniak), Andrea (Roberto Farnesi) e Giacomo (Massimo Poggio), partiti dalle paludi dell’Agro Pontino nel pieno dell’era fascista, e approdati alla prima centrale nucleare d’Italia, costruita a Borgo Sabotino. «C’era il desiderio di riprendere una saga familiare che, con una media di 5 milioni di telespettatori e uno share del 21 per cento, aveva tanto appassionato il pubblico - racconta il responsabile della fiction Mediaset, Gincarlo Scheri -. Ma soprattutto volevamo mostrare quanto quei personaggi potevano essere cambiati da allora. Così ecco l’idea di saltare gli anni fra il ’44 e il ’57, per riproporre i nostri eroi all’inizio del “boom” economico e del cambiamento della società moderna».

Non avrà forse pesato, su questa decisione, anche l’indiscutibile appeal degli anni ’60, magari sulla scia del successo Rai di Raccontami? «Che i ’60 abbiano appeal, è fuori discussione. Che questo ci avvantaggi, anche - ammette il regista di entrambe le serie, Raffaele Mertes -. Ma i nostri ’60 non saranno quelli più sfruttati e metropolitani. Quanto quelli vissuti nella stessa provincia dell’Agro Pontino, alle porte della capitale: dove la terra è ancora la terra, anche se la miseria non c’è più. E anche se, al posto dei campi, c’è una centrale nucleare». Elemento questo storicamente esatto. E contornato poi da intrecci d’invenzione in stile «spy story»: «Il ritorno di Giacomo dopo tanti anni di assenza, infatti, non si limiterà a riproporre a Giulia i dilemmi amorosi dell’antico “triangolo” fra lui, lei e Andrea - spiega Mertes -. Ma suggerirà anche temi da scontro politico e ideologico da clima di Guerra fredda».

Ormai definitivamente adottata dall’Italia, al punto da interpretare (senza più ombra alcuna dell’originale accento polacco) fiction come questa, strettamente intrecciate alla memoria nazionale, Kasia Smutniak si sente un’attrice moderna. «Fa parte del mio mestiere accettare delle sfide. E certo recitare in italiano una storia così italiana, è stata una sfida». Si pensa già a un Questa è la mia terra - Trent'anni dopo? «La volontà c’è - afferma Scheri -. Ma la decisione deve prenderla il pubblico».

In ogni caso, non potrà più prevedere la presenza

degli attuali personaggi; ma semmai dei loro figli. «Stavolta abbiamo già preteso molto, chiedendo alla Smutniak e a Farnesi di farsi truccare da vecchi. Non possiamo farli diventare dei nonni. Sarebbe un po’ esagerato».

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