Mr. Perfettino è sbarcato in Italia. No, così non va. Suona invidioso. Dan Brown è pur sempre un autore che con un unico titolo - Il Codice Da Vinci - ha smazzato 80 milioni di copie sotto i cieli di tutto il mondo, compreso quelli del Vaticano. Non bastasse, con il suo Il simbolo perduto, pubblicato da Mondadori appena un mese fa, ha venduto solo da noi 700mila copie (se vi dicono un milione, accennate un sorriso. Un milione è il prenotato delle librerie. Ad ogni modo è già incredibile che una media di 970 lettori per ogni ora del giorno, notte compresa, siano andati in libreria ad acquistarlo). Quindi, chapeau.
Riproviamoci: Mr. Bestseller è sbarcato in Italia. Non va bene, suona troppo «marketing». Non che lui non faccia marketing, anzi, vive (molto bene) solo di questo. Però di Mr. Bestseller ce ne sono stati parecchi anche prima.
Anche la terza chance non regge: Mr. Bestseller (Dan Brown) è sbarcato la scorsa domenica da Mr. Perfettino (Fabio Fazio, a Che tempo che fa). Però è più precisa: in entrambi il conformismo si sposa a un particolare successo, basta spruzzare un po’ di profumo di intelligenza politically correct e le vendite decollano. E che c’è di meglio di ventilare un complotto per apparire intelligenti? Del tipo: «Questo sa davvero come sono andate le cose! E mi diverte, persino!». Detto con le parole di Dan Brown: «Il lettore vuole imparare. Per questo mi legge». Sarà, ma i suoi libri sono pieni di strafalcioni (Fazio sembra non essersene accorto, nonostante la divertente campagna dei giornali inglesi, rimbalzata anche sui nostri, che ha fatto notare l’incredibile serie di «sfondoni» storici).
Il tour promozionale italiano di Dan Brown, dopo una capatina alla Scala per la «Carmen», è continuato ieri con la tappa di Milano, alla Terrazza Martini, per la precisione. C’erano proprio tutti, giornalisti, televisioni, guardie del corpo, tutti meno uno: l’autore. «La serata alla Scala mi ha levato il sonno» ha detto l’ologramma di Dan Brown ai giornalisti. E allora via con risposte standard, imparate a memoria in minuti e minuti di estrema fatica mentale. Per questo anche a domande scottanti Dan ha risposto benissimo: «Mr. Brown, lei usa la critica ai poteri forti come mero strumento narrativo oppure le assegna una validità storica e politica?». Dan ha sorriso, un sorriso smagliante, ipervitaminizzato, d’altronde intervalla la scrittura con addominali e flessioni, come ha raccontato lui stesso, e a volte si appende a testa in giù con speciali stivali, per rilassare i muscoli («Ma non è che ti fa male? Se poi non ce la fai a tirarti giù quando sei solo in ufficio?» gli ha chiesto sua moglie, che gli fa anche da assistente. «Baby, don’t care»). «Sono un appassionato della libertà di pensiero - ha dunque risposto Dan Brown inserendo il pilota automatico - e penso che i miei libri illustrino come i grandi sistemi, tipo le religioni, si trascinino dietro anche molta intolleranza. Ho avuto una baby sitter keniota, un’altra argentina. Alle elementari avevo compagni di ogni genere: buddhisti, cristiani, agnostici. E all’università ho aperto gli occhi sulle religioni, troppo intolleranti». Ma li ha aperti anche sulla Massoneria, verso cui è stato più indulgente, ne Il simbolo perduto, di quanto non sia stato in precedenza verso la Chiesa? «Ah, se durante le mie ricerche avessi trovato un solo documento che denunciasse che i massoni hanno commesso delle malefatte, l’avrei scritto a chiare lettere. Invece ho sempre trovato massoni aperti e tolleranti. Questo è un bene, in un mondo dove spesso ci si uccide perché si tiene troppo alla propria versione della verità. Nella Massoneria, invece, vi sono le persone più diverse, ma tutti si chiamano fratelli! Dopo Il simbolo perduto mi hanno fatto capire che le porte erano spalancate anche per me, ma sapete - e qui Dan fa l’occhiolino - mi hanno chiesto un giuramento sulla segretezza, e a me i segreti piace svelarli, mica conservarli». A questo punto, se metà dei giornalisti in sala non avesse dovuto preparare l’articolo o la trasmissione entro poche ore, sarebbe partita la corsa al bancone della celebre Terrazza per farsi un Martini cocktail al fine di dimenticare l’evento il prima possibile. «Svelare! - ha continuato Brown - È l’etimologia greca della parola apocalisse. Io non vedo l’apocalisse come fine del mondo, ma come rivelazione, come possibilità di migliorare la nostra vita. Magari accadrà tra dieci anni, grazie a discipline come la noetica, che ho messo al centro del romanzo dopo averne accertato la validità». In sala alcuni cellulari fanno interferenza coi microfoni. «Ma quali cellulari, troppi cervelli brillanti nella stessa stanza» ha ridacchiato il noetico Brown. Che è stato interrogato anche sugli e-book («Li uso in viaggio. Hanno dato smalto al ruolo dell’editore. L’editoria senza e-book è come il web senza Google»), sull’ambientazione del suo romanzo («Washington è la nuova Roma») e sull’ambientazione del prossimo («Milano è spettacolare. Come il resto del mondo»), su quando era sconosciuto («Scrivi! mi ripetevo. Il successo arriverà»), sul suo protagonista Robert Langdon («Uno di noi, uno come tutti, un accademico che come unica arma, e l’ho fatto promettere anche ai produttori hollywoodiani dei film tratti dai miei libri, usa la conoscenza.
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