Benvenuti a Bruegellandia, paese senza regole dove regna lassurdo, dove si vive fuori misura e tutto è permesso, dove si scherza anche con la morte, e dove accade che la morte perda una mano della partita che gioca con gli umani. Perciò, meglio godersi la vita. È questo il contenuto de Le gran Macabre opera in due atti di Gyorgy Ligeti - libretto tratto dallomonima ballata del poeta belga Michel De Ghelderode, stile Alfred Jarry- che ben si adatta a un epoca percorsa da profonda crisi come la nostra, perché sottolineano i due registi, Alex Ollè e Valentina Carrasco: «Alla fine la crisi passerà!»
Un giorno, secondo la trama dellopera, in un paese di fantasia, sbarca la morte in persona, il suo arrivo semina paura ovunque, perché la sua minaccia è precisa e circostanziata: alle 12 Bruegellandia non esisterà più. La paura della morte spinge gli abitanti di quello strano paese a compiere atti che, in circostanze normali, non avrebbero compiuto. Ma la morte, sicura di sé, si ubriaca, e forse per questo, dimentica di portare a compimento il suo progetto. Ligeti lascia aperta linterpretazione del personaggio della morte: era davvero la morte che voleva infondere paura, oppure un semplice ciarlatano? Quale che sia linterpretazione di Nakrotzar (la morte), la morte è stata rimandata, e dunque viviamo il tempo che ci è dato, scacciando la paura. La Fura dels Baus (il cui nome significa semplicemente: un furetto che vive nelle acque del fiume Baus, dove i fondatori del collettivo avevano una casa), al suo primo lavoro su unopera contemporanea, è partita dalla morte, che è sostanzialmente morte del corpo, ed ha pensato di metterne in palcoscenico uno mastodontico (17 x 9 metri), di donna ovviamente pensando anche alla «madre terra», abitato dai cittadini di Bruegellandia. In quel corpo entrano e dallo stesso ne escono, su di esso si arrampicano, gli occhi sono finestre, mani e gambe promontori.
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