Solo in otto davanti al maxi schermo in Galleria che trasmette in diretta il consiglio comunale convocato per far intervenire il sindaco Giuliano Pisapia sull’affaire Maran. Il giovanissimo assessore a un sacco di cose, fra cui la Mobilità, finito sulla graticola per i suoi rapporti con Filippo Penati, il capo della segreteria politica di Pierluigi Bersani e boss del «sistema Sesto», come è stato ribattezzato il giro delle (almeno per ora) presunte tangenti estorte tra Milano e hinterland secondo la procura di Monza. Con le vicende relative alle aree Falck e l’appendice Serravalle.
Cento giorni e il vento sembra essere già cambiato. Solo un ricordo la ressa in piazza della Scala di gente vestita d’arancione che s’accalca per ascoltare o soltanto vedere da vicino Pisapia. Un fallimento l’idea di trasmettere nello schermo in Galleria e all’Urban center il consiglio comunale. I milanesi lunedì pomeriggio alle cinque lavorano. E chi non lavora ha ben altro da fare che ascoltare una noiosissima ora di Articoli 21. Un logoro rituale previsto dal regolamento che consente a ciascun consigliere di intervenire sull’argomento che più gli piace. Tema libero, come nemmeno più alle elementari. Nel delirante menù di ieri, i tagli alla scuola del ministro Mariastella Gelmini e tempo pieno, classi di soli immigrati, aggressione alle lesbiche, il sant’Ambrogio da non abolire e il radicale Marco Cappato che per chiudere propone di imitare il Comune di Lecce e assumere anche i disabili nella polizia municipale. E così quando tocca a Pisapia restano in otto. Più quattro giornalisti costretti a seguire l’evento (mancato). Anche perché a non funzionare, oltre all’appeal di Pisapia, è anche lo schermo che si inceppa continuamente e azzera il volume. «Non si sente», si lamenta ad alta voce una distinta signora piazzata in prima fila con un’amica. «Non è colpa nostra, è il video che non va», ribatte gentile una dipendente dell’Urban center. Alcuni addetti confabulano di dati che non passano e dell’impossibilità di garantire una qualità decente. Non ve meglio in Galleria dove nemmeno il volume altissimo invoglia qualcuno a fermarsi. Di Maran e Pisapia ai milanesi non gliene importa proprio niente. «Si sapeva che non era lui a decidere - sentenzia uno che passa veloce - Pisapia è anche una brava persona, ma non è del Pd. E non è lui che ha scelto gli assessori». C’è una telecamera e due giapponesi si affacciano incuriositi. «Io credo - spiega un altro davanti alla vetrina - che quello che si fa in consiglio sia trasparente. Che sia tutto regolare. Ma certo che se i giudici dimostreranno che qualcuno ha sbagliato, allora deve andare in galera». Dentro sono rimasti in sei.
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