Dalla Dc alla Rai, 15 anni di sparate d’agosto

Nel ’93 lanciò epurazioni televisive e lo sciopero del canone, nel ’94 si vantò di aver fermato una rivolta armata di 300mila bergamaschi, nel ’96 evocò un complotto del Sismi anti Lega

Dalla Dc alla Rai, 15 anni di sparate d’agosto
Roma - Il segno inequivocabile della ripresa, al di là di quegli acciacchi che si porterà dietro per sempre, sta in quelle due-parole-due buttate lì a Ferragosto. Quasi per caso, potrebbe pensare un profano. Invece, quando Umberto Bossi lancia da Ponte di Legno l’idea dello «sciopero fiscale» non fa altro che onorare una tradizione che per quasi tre lustri ha trasformato un tranquillo paesino del Bresciano in una sorta di santuario padano, dove camicie verdi e telecamere accorrevano in pellegrinaggio anche solo con la speranza di scorgere da lontano la passeggiata del capo.

Uno strano rituale lumbard quello del Ferragosto, quando sui monti della Val Camonica brillavano nella notte falò con la scritta «Viva la Lega» e Bossi tuonava proclami, disegnava scenari e dettava condizioni. Per galvanizzare i suoi, certo, ma pure per condizionare l’imminente ripresa dell’attività politica e conquistare le prime pagine di quotidiani e tg. Come ha sempre insegnato la vecchia scuola radicale di Marco Pannella. È andata avanti così per anni, a partire dal 1991. E con tre sole eccezioni, quando la malattia l’ha costretto prima al silenzio e poi a toni cauti. Lo «sciopero fiscale» e l’idea di «tirare fuori il fucile», insomma, oltre a scatenare le solite reazioni sdegnate, sono soprattutto la conferma che in qualche modo il Senatùr è tornato in gioco. Non come ai vecchi tempi, certo, ma quasi.

D’altra parte, l’indignazione di oggi con tanto di monito del Quirinale, ricorda un po’ le paternali di qualche anno fa. Quando tutti puntavano il dito contro l’aborigeno padano per poi corteggiarlo di nascosto. Fin dal 1991. «Se lo Stato italiano ci vuole sfidare - attacca - sappia che non risolverà niente. Ci sono trenta milioni di persone che non hanno paura dei carri armati dell’Italia». E ancora: il popolo del Nord è pronto a «prendere la baionetta» ed «entrare in lotta con questo Stato di merda». Pure sul fisco, nessuna novità.

«Ho già pronti i manifesti con su scritto “Nord prepara la valigia”», diceva nel 1992 a proposito dell’Isi, l’imposta straordinaria sugli immobili. Di più: «Se riusciamo a convincere questa brava gente a non pagarla, allora sì che viene il bello». Con un corollario: «Che mi arrestino pure. Qui è la rivoluzione». Nel ’93 toccò pure al canone Rai. «Stiamo preparando una legge di epurazione - dice - perché i pennivendoli del vecchio regime debbono andarsene». E quindi, «il canone non si paga». Ce n’è anche per la Dc: «I democristiani si devono suicidare e poi venire da noi con le mani alzate». Nel ’94, fatto l’accordo con Silvio Berlusconi, si trasferisce in Sardegna dal Cavaliere. E pure da Porto Rotondo non delude se si lascia sfuggire che «tra il 1986 e l’87» ha «bloccato una rivolta armata nelle valli della Bergamasca dove c’erano 300mila persone pronte a prendere le armi». Nel 1996, invece, il tema caldo sono le cospirazioni.

In un’intervista al Corriere della Sera, infatti, parla di un «documento del Sismi» che descriverebbe un progetto di attentato la cui responsabilità sarebbe dovuta ricadere sulla Lega. Intervista poi smentita perché «il dossier è falso».

Insomma, ce n’è per tutti, compreso «il Papa polacco». «Sono lontani - attacca - i tempi di Giovanni XXIII, il grande lombardo che disse che erano finiti gli interessi della Chiesa nella politica». E davvero non si capisce cosa sia cambiato oggi rispetto agli ultimi quindici anni.
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