Il vecchio leone ha sostituito l’ardore con la saggezza. «Stanchezza» dicono alcuni leghisti, che pure lo ascoltano in adorazione, come si fa coi condottieri con molte battaglie (e una pesante malattia) alle spalle. Non è la Pontida di rottura che molti si erano figurati, cadendo nella messa in scena thrilling che Bossi ha creato alla vigilia. Anzi è un Bossi «berlusconiano», forse più di quanto il sacro pratone fosse preparato ad ascoltare. C’è un complesso retroscena nella preparazione del discorso del capo, che per la prima volta si è presentato con un testo scritto, anche questo un segno della svolta diplomatica bossiana. Da una parte le pressioni per dare una frustata al governo e placare la sete di rivalsa del popolo leghista, stufo della melina della Lega romanizzata. Dall’altra i calcoli di realpolitik e le rassicurazioni sulle risposte che potranno arrivare dal Pdl (Calderoli è l’interprete ufficiale e l’ispiratore del «dodecalogo» leghista), con un bilancino molto preciso a disposizione: la performance scadente della Lega alle amministrative, il quorum del referendum.
Il risultato è un discorso di compromesso, con qualche botta (a Berlusconi, a Tremonti) ma da amico che ha fretta, non da traditore. Non c’è possibilità di rompere, non conviene a nessuno, si consegnerebbe il paese alla sinistra che ora ha il vento dalla sua. Insomma, fratelli padani state calmi, coltivate la prudenza come virtù cardinale, perché la Lega «non si prenderà la responsabilità di mandare in malora il Paese». Tutto è rimandato, anche la scadenza del Cavaliere a Palazzo Chigi è coniugata al condizionale, se non farà, se non ci ascolterà bene... Anche la road map, l’elenco dei «Fatti in tempi certi», contiene impegni e date ma non chiarisce cosa succeda nel caso in cui non vengano onorati. Certo, «può darsi che la gente ci dica stop, ed allora dovremo decidere tutti assieme». Ma è sempre in un futuro che Bossi spera di scongiurare.
Negli stessi timori della Lega si riconosce l’influenza di Tremonti e di Berlusconi. È Bossi a spiegare che un voto ci esporrebbe alle speculazioni di Londra, di Wall Street, e che «rischieremmo di finire come la Grecia». Un discorso in puro «tremontese». Mentre Maroni, che pure è il capo dell’ala intransigente, quando accusa la magistratura di remare contro, per ragioni ideologiche (e lo fa anche Bossi), sembra un berlusconiano doc. Sulla revisione del patto di stabilità si sospetta un accordo preventivo con il «caro Giulio». Mentre su alcuni dei punti dell’ultimatum leghista ci sarebbe stato un via libera del Cav, prima di Pontida. Poi resta chiaro che loro sono una cosa, la Lega un’altra, e quindi Bossi, su Equitalia, si indigna con gli eccessi autorizzati da Tremonti e «dal governo Berlusconi».
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