Politica

Delitto del Circeo La malagiustizia funziona benissimo

«La giustizia non funziona» ha detto con amarezza Letizia Lopez, sorella di Rosaria che fu trucidata nella villa degli orrori al Circeo nel 1975. Lo ha detto dopo che Gianni Guido, uno dei tre assassini, ha riottenuto la libertà per aver espiato completamente la sua pena. Letizia Lopez ha ragione. La giustizia italiana non funziona nemmeno quando funziona. Bisogna ammettere che in questo caso gli ingranaggi della legge hanno agito a dovere. Guido non è uscito dal carcere, a 53 anni, per una negligenza o una distrazione procedurale. Lo si è ritenuto meritevole, a ragion veduta, di tornare riabilitato nella società. Questa regolarità formale della decisione non rassicura, a mio avviso, i cittadini onesti: piuttosto li spaventa, attestando che la logica dei palazzacci dove - così sta scritto - «la legge è uguale per tutti», è opposta alla loro logica.
Non ho nessuna voglia d’impegolarmi in un dibattito sul carattere afflittivo o rieducativo della pena. Ammetto che ci possa essere un recupero dei criminali, anche i peggiori. La connotazione feroce del massacro dal quale Donatella Colasanti si salvò solo fingendosi morta aveva suscitato, al tempo, immenso orrore. S’erano alzate, come sempre accade dopo delitti così efferati, voci invocanti la pena di morte. Fu ergastolo, la sola condanna che fosse parsa adeguata alla ferocia dei pariolini.
I tre colpevoli hanno avuto sorti diverse. Qui ci interessa quella di Guido: che in appello si dichiarò pentito e, avendo risarcito con cento milioni le parti civili, vide commutato il carcere perpetuo in trent’anni di reclusione.
Non fu per niente un detenuto modello. Evase dal penitenziario di San Gimignano in Italia e scappò in Argentina. Là arrestato, rievase e fu latitante a Panama fino al 1994. Poi in galera di nuovo. La soccorrevole normativa italiana ritenne che l'omicida dalla fuga facile potesse giovarsi non solo di due indulti, ma anche dei benefici della legge Gozzini. Nel luglio del 2007 ottenne la semilibertà, nel 2008 fu dato in prova ai servizi sociali.
Il presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma Paolo Canevelli ha ritenuto che Gianni Guido, macerato da un «silenzioso pentimento», non sia pericoloso. «Si vergogna come un ladro di quello che ha fatto», spiega il dottor Canevelli. Non per prendere le difese della criminalità minore, ma se i ladri possono vergognarsi come ladri, gli assassini devono vergognarsi come assassini. Quando si vergognano.
Né la torturata e ammazzata Rosaria Lopez né Donatella Colasanti - uccisa da un tumore nel 2005 - possono gridare la loro indignazione per il totale perdono che la giustizia degli uomini ha concesso a Gianni Guido. Ma l’opinione pubblica rimane fortemente inquieta. Non vogliamo aver l’aria d’essere tifosi a ogni costo delle manette e delle celle. Però sommessamente chiediamo cosa debba mai fare un assassino condannato - più di quanto abbia fatto Guido - perché lo si ritenga a rischio, e immeritevole di indulti, permessi, benefici vari.

Una domandina così, tanto per saperne di più.

Commenti