Desio, allarme rosso nell’Islamabad italiana

Gabriele Villa

da Desio (Milano)

Vista così sembra innocua. Dall’appeal non proprio esaltante, ma innocua. Entrandoci da via Milano, lasciando alle spalle il solito mobilificio che, al solito, liquida tutto. Passando tra il centro estetico à-la-page, e il tattoo che promette miracoli sulla pelle, sembra innocua, Desio. Eppure la città, poco più di 37mila abitanti, è tra le prime in classifiche nella mappa nazionale dell’allarme rosso. Nel censimento che il Sismi ha tracciato, facendo lo screening alla popolazione islamica, non proprio al di sopra di ogni sospetto, che si è accasata in Italia.
Una storia lunga quella della svolta islamica di Desio. Cominciata almeno una decina d’anni fa, quando hanno preso ad affluire i primi emigrati dal Punjab in cerca di lavoro nelle aziende siderurgiche e meccaniche della zona. E così, con la tecnica della goccia che scava la roccia, ecco che la storia, cominciata una decina di anni fa in una periferia industriale del mondo, è finita oggi in pieno centro: via XXIV Maggio. Cuore commerciale, economico, nevralgico di Desio.
Un intero isolato diventato, di fatto, una polveriera. Con una corta miccia, poco più di un budello, che sbuca, guarda a volte il caso, in piazza Conciliazione, roccaforte del cattolicesimo desiano, nelle braccia di monsignor Elio Burlon, il prevosto che qui risiede e regge le sorti della chiesa locale. E che, dal pulpito della cattedrale di San Siro e Materno prova sistematicamente e anche fin troppo inutilmente, a lanciare parole di tolleranza e messaggi di buon vicinato.
Buon vicinato o no, in ogni caso si tratta di un carrierone alla rovescia per la città che diede i natali a Pio XI e che si è trovata, in tempi recenti, al centro due indagini degli 007 italiani e francesi: aprile 2004 il Sismi accerta che da Londra sono partiti, diretti a Desio, alcuni «predicatori» salafiti radicali tra cui il sospettatissimo Khuram Raja, 27 anni (che peraltro si è sempre dichiarato estraneo al terrorismo islamico). Ferragosto dello stesso anno: all’aeroporto di Parigi viene arrestato dalla gendarmerie Mohamed Bihlol Yusuf sorpreso con cinque passaporti e altrettante patenti false. L’arresto serve ad accertare che, dall’ottobre 2004 al gennaio 2005, l’uomo, entrato irregolarmente in Italia, ha trovato rifugio sicuro a Desio, infiltrato fra i suoi connazionali. Duemila connazionali, ovvero la più numerosa comunità pachistana della Lombardia, una piccola Islamabad. Nell’arco di un anno la situazione è decisamente peggiorata. Insopportabile. Così all’alba, nella stessa settimana, la settimana scorsa scattano un blitz e poi un altro ancora, di carabinieri e vigili del fuoco, per tentare di far piazza pulita nell’epicentro dell’Islam in Brianza. Quel Palazzo Pastori, in via XXIV Maggio che, nella notte dei tempi, era la residenza dei nobili desiani. Bilancio dei blitz: centinaia di persone controllate e sette espulsi dall’Italia per reati vari. «Siamo al livello di guardia - ammette il sindaco Giampiero Mariani, indipendente, al timone di una giunta di centrodestra - ma più che due blitz alla settimana, più che due controlli quotidiani coi vigili urbani che fermano praticamente tutti gli extracomunitari che passano e controllano documenti e permessi di soggiorno, che cosa possiamo fare?». Già, che potevate fare? Per esempio - gliela butto lì - potevate forse evitare di dare il patrocinio dell’amministrazione comunale alla fiaccolata dell’altro giorno, venerdì 20, con annesso convegno dal titolo «Islam conoscere per dialogare», che una volta di più ha spaccato in due la città. Da una parte Rifondazione, Verdi e cattocomunisti vari, che se ne vanno a braccetto in corteo con i musulmani di Desio. Dall’altra, la gente normale, i commercianti, per esempio, costretti ad abbassare prudentemente le serrande.
«Il patrocinio - si difende Mariani - non significa adesione, né tantomeno condivisione di idee e principi. D’altra parte non mi hanno chiesto fondi, né una sede per il convegno. Negare anche il patrocinio avrebbe significato irrigidire ulteriormente una situazione già sufficientemente tesa da quando abbiamo in mano l’ordinanza dell’Asl». L’ordinanza, cui il sindaco Mariani allude, è un dossier che brucia sulla sua scrivania. Gli si impone di sgomberare 17 appartamenti su 18 di Palazzo Pastori giudicati dall’Asl inagibili, e pericolosi per vari motivi. A maggior ragione dopo che, nello stesso palazzo, meno di un mese fa, era scoppiato un incendio che aveva messo a rischio l’intera zona commerciale. Mi scusi, sindaco, ma non è il pretesto che aspettava per far piazza pulita? «Certo può essere l’occasione che aspettavamo ma occorre muoverci con prudenza. Per questo ho scritto al Prefetto: voglio il suo pieno sostegno. Qui può scoppiare il finimondo se sgomberiamo». In carica da una manciata di giorni l’assessore al Commercio, Francesca Manzotti, parla di «una situazione al limite della sopportazione da parte dei negozianti del centro storico. Siamo intervenuti obbligando i phone center controllati dagli islamici a chiudere i battenti alle 20, controlliamo le licenze di tutte le attività commerciali avviate dai pachistani, imponiamo alle macellerie islamiche e ai bazar di aprire e chiudere negli stessi giorni e con gli stessi orari in cui gli altri negozi italiani aprono e chiudono. Niente sconti, niente concessioni chi è in Italia si deve adeguare ai nostri usi e costumi». Le fa eco l’intera squadra del Carroccio presente in consiglio comunale. Che ha portato al sindaco un’altra richiesta, che certo non aiuterà a distendere il clima: «Tutte le domande di residenza a Desio presentate da cittadini di origine islamica, dovranno, d’ora in poi, venir valutate una ad una direttamente dal sindaco che informerà anche i carabinieri».
Il sindaco Mariani accetta e promette: «Passerò ogni richiesta al microscopio». E intanto? Intanto nella piccola Islamabad lombarda c’è un’altra mina vagante che nessuno si decide a disinnescare: la moschea. Quella che dovrebbe o vorrebbe essere, nei piani dei 2mila pachistani di Desio la grande moschea di tutta la Brianza. Qualche tempo fa avevano messo gli occhi addosso al mitico Palazzetto dello sport. Già in passato tempio sì, ma del basket. Erano persino riusciti ad andarci a pregare tutti insieme per gentile concessione dell’allora sindaco Pugliese, a conclusione del Ramadan. Poi il Comune ha posto il vincolo di destinazione e la mina vagante è stata provvisoriamente disinnescata. Fino ad oggi. Ma, stando alle chiacchiere che si ascoltano in via XXIV Maggio, dal barbiere Khan Baba-Pak Mode (shampoo e taglio 9 euro) sono stati già raccolti oltre 100mila euro per costruire la moschea. Basta che il Comune dica sì. «Fino quando sarò il sindaco di Desio non si farà nessuna moschea - promette Mariani - senza incrociare le dita. Poco importa se hanno raccolto cento o duecentomila euro».

Certo anche quel sottoscala di via Forlanini con decine di persone che si accalcano in preghiera non è il massimo, basta un intoppo e si rischia un guaio grosso...
«Vero, verissimo - ammette il sindaco - non è il massimo della sicurezza. Ma l’hanno preso in affitto regolarmente e se adesso glielo tolgo... No, non ci voglio pensare per ora».

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