Destra e sinistra, tutti tormentati dal «dopo-Berlusconi»

Carissimo Granzotto, a me pare che il nocciolo duro del confronto politico che coinvolge sia la destra che la sinistra ruoti attorno a un solo argomento: il «dopo Berlusconi». Le chiedo: che lei ricordi nella ormai lunga storia repubblicana si è mai verificato un fatto del genere e cioè che energie di tutto lo schieramento politico fossero indirizzate a un «dopo» qualcuno, supponiamo un dopo De Gasperi?.
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No, caro Belloni, che io ricorda, no. Non ce n’erano i presupposti, d’altronde. De Gasperi, per rimanere a lui, era uno statista coi fiocchi, ma che si collocava nel solco della tradizione politica italiana. Berlusconi quel solco lo ha scomposto, lo ha buttato all’aria non lasciandone traccia. La crisi di identità, idee e programmi della sinistra, il suo annaspare alla ricerca di un leader in grado di marcare la discontinuità (l’ultimo in ordine di apparizione è Roberto Saviano) è conseguenza evidente del terra bruciata di Berlusconi. Anche per loro, per i «sinceri democratici» intendo, il Cavaliere è un punto di riferimento irrinunciabile: negativo, abominevole, certo. Ma essendo lui a dirigere l’orchestra, se si intende rimanere nel golfo mistico della politica è giocoforza adattarsi alle sue cadenze, ai suoi «allegro», ai suoi «crescendo», alle sue «toccate» con e senza fuga. E anche se il dopo Berlusconi non è che sia proprio alle viste, ma per ovvie ragioni nemmeno procrastinabile sine die, mi par giusto che a destra come a sinistra ci si interroghi su come riempire un vuoto che sarà certamente assai più vasto e profondo dello spazio che con la sua personalità Berlusconi ha occupato e occupa. A destra il problema si pone in forma semplice: raccoglierne l’eredità. Qualcuno ci sta pensando, qualcun altro si sta addirittura scaldando a bordo campo, ma siccome nemmeno Fini può immaginare un berlusconismo senza Berlusconi, più che a raccogliere il testimone i Proci dell’Itaca di destra si preparano - avendo poi in animo di archiviare il bipartitismo e tornar alla carica col proporzionale secco - a dividerselo: un pezzo a te, un pezzo a me, piano, non spingere, ce n’è abbastanza per tutti... Cose così.
Alla sinistra il «dopo Berlusconi» arreca mal di pancia di altro genere, ma non per questo meno tormentoso. Il passo d’addio del Cavaliere, quando verrà, lì per lì farà tirare ai «sinceri democratici» un sospirone di sollievo. Ma li precipiterà, anche, nello sconforto più nero. Per via della maledizione dell’antifascismo, che li perseguita. Mi spiego: l’antifascismo è quel che è. Un Valorone grosso come lo Zeppelin, malta con la quale è stata tirata su quella mirabilia dello Stato repubblicano (e antifascista, ovvio). Però trattasi di antifascismo virtuale, parolaio. Di risulta. Perché nella sua veste primaria e concreta e fattiva di opposizione al regime, l’antifascismo al fascismo fece solo il solletico. Tant’è che cadde, il fascismo, per mano dei fascisti, cogliendo di sorpresa gli antifascisti, che se era per loro i gerarchi sarebbero ancora lì a saltare nel cerchio di fuoco. Pur avendo cercato di rimuoverlo sotto slavine di retorica, il fiasco dell’antifascismo gravò e grava tutt’ora sui nobili animi della sinistra. Che aspetta, atterrita, la seconda mazzata, l’«uno due», come s’usa dire a bordo ring: il fiasco dell’antiberlusconismo.

Vent’anni a provarle tutte, ma proprio tutte, pulite e sporche (più sporche che pulite), leali e gaglioffe (più gaglioffe che leali) senza essere riusciti non dico ad abbattere, ma almeno a fare lo sgambetto al tiranno. All’antifascismo virtuale si aggiungerà dunque, nel palmarès della sinistra, l’antiberlusconismo onanista. Sarà dura, a quanti batte in petto un cuore «sinceramente democratico». Molto dura.

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