Diabolik, l'ultimo capo della mafia

Il soprannome "fumettistico" se l'è scelto lui, Matteo Messina Denaro, l'ultimo boss dei boss di Cosa Nostra. Di sé dice: "Con le persone che ho ammazzato io potrei aprire un cimitero"

Il soprannome se l'è scelto da sé: Diabolik, come il ladro gentiluomo protagonista del noto fumetto. Quarantotto anni, «figlio d'arte» - il padre, don Ciccio, è stato lo storico capomafia di Castelvetrano - Matteo Messina Denaro è latitante dal 1993.
Dopo l'arresto di Bernardo Provenzano e dei boss palermitani Salvatore e Sandro Lo Piccolo sarebbe lui, secondo le indicazioni concordi degli investigatori, ad avere assunto il comando di Cosa Nostra. La primula rossa di Cosa nostra è un enfant prodige del crimine: a soli 14 anni impara a sparare. A 18 commette il primo di una lunga serie di omicidi (gli inquirenti ne avrebbero contati oltre 50). Un curriculum notevole, che l'avrebbe spinto a dire a un amico: «Con le persone che ho ammazzato io, potrei fare un cimitero». Amante del lusso, degli abiti griffati e delle auto sportive, grande collezionista di Rolex, Matteo Messina Denaro racchiude in sè vecchia e nuova mafia. Lontano anni luce dall'immagine del padrino che trascorre la latitanza in isolate masserie di campagna, mangiando ricotta e cicoria, continua, però, a gestire i tradizionali affari di Cosa nostra: come la droga - ha stretto importanti accordi con i cartelli sudamericani - e le estorsioni. Ma non disdegna il traffico di armi, la macellazione clandestina e, grazie a imprenditori prestanomi, gli investimenti nella grande distribuzione alimentare. Fama di seduttore, è stato legato a Maria Mesi (condannata il 28 marzo 2001 per favoreggiamento), ma ha avuto anche una figlia da una precedente relazione. Recentemente avrebbe tentato di ampliare il suo raggio d'affari in Austria, Svizzera, Grecia, Spagna e Tunisia.
Le vicissitudini giudiziarie di Matteo Messina Denaro iniziano nel 1989, quando viene denunciato per associazione mafiosa. Dal 1993 è costretto alla latitanza insieme al padre, morto da ricercato. La salma venne ritrovata nella bara, pronta per la tumulazione. Ritenuto vicino all'ala sanguinaria di Cosa nostra di Totò Riina e Leoluca Bagarella, sarebbe stato tra i promotori delle stragi del '93 a Firenze, Milano e Roma per cui è stato condannato all'ergastolo con sentenza definitiva.
Nel 1994, secondo quanto raccontano i pentiti, a causa della grave forma di strabismo di cui soffre sarebbe andato a farsi visitare in Spagna, in una nota clinica di Barcellona. L'importanza del ruolo ricoperto da Messina Denaro in Cosa nostra viene confermata quando, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano, gli inquirenti scoprono il fitto carteggio tra i due capimafia.

Nelle lettere, che sembrano escludere l'esistenza tra i due di presunti contrasti di cui avevano parlato alcuni collaboratori di giustizia, il giovane rampollo trapanese si rivolge con rispetto, ma da pari a pari, all'anziano padrino.

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