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Il diario della soldatessa Dana: «Ho pianto, non sono il nemico»

«Penso alle mamme e ai bimbi, è stato un colpo forte. Soffro per loro e per me»

Marta Ottaviani

C’è chi viene allontanato dalla terra dove è nato contro la sua volontà. E chi deve costringere i coloni ad andarsene. Contro la sua volontà e con le lacrime agli occhi. Nella tragedia collettiva del ritiro dalla Striscia di Gaza, la storia più toccante, forse, la raccontano proprio loro: i soldati israeliani, gli ebrei che espellono altri ebrei. Qualche giorno fa un’anziana colona aveva detto: «Il soldato che verrà a evacuarmi non potrà più dormire come prima».
Il tenente Dana Wiseman ha 21 anni, comanda un’unità di evacuatori e ha raccontato al quotidiano israeliano Yediot Ahronot come vive l’esperienza dello sgombero delle colonie israeliane. Un dramma interiore destinato ad accompagnarla per molto tempo.
«Sono crollata mercoledì - racconta Dana -. È successo quando una mamma mi ha chiesto come avrebbe comprato i pannolini per il suo bambino a partire dal giorno successivo, quando sarebbe rimasta senza casa e senza lavoro. Una ragazza mi ha detto che io ero il diavolo. Mi ha chiesto come potevo portarla via e come potevo causare un dolore così forte alla sua famiglia».
Situazioni difficili da sopportare quando sei di fronte alla tua gente. Quando ti senti più che mai vicino a loro. Ma rappresenti lo Stato e hai un ordine da eseguire. E la sua missione, Dana, ha voluto portarla a termine fino in fondo. «Le sue parole - continua - erano piene di odio e mi hanno fatto male. Ma in quel momento la cosa più importante per me era rimanere vicino a lei e aiutarla. Così ho pianto dentro. Adesso sto cercando di continuare a proiettare un’immagine forte. Poi, quando tutto sarà finito, piangerò veramente».
Il tenente Wiseman ha molte storie da raccontare. Storie di lacrime, di disperazione, di tentativi estremi. Ma anche storie di sensi di colpa, di impressioni di inadeguatezza e di militari che hanno eseguito un compito loro malgrado.
«Credo che le mamme - spiega ancora Dana - abbiano usato i loro bambini. Questo ha avuto un effetto molto forte su di noi. Per esempio, mercoledì abbiamo dovuto allontanare una famiglia dalla propria casa. Quando siamo arrivati davanti all’abitazione sembrava vuota. Siamo entrati e abbiamo capito che le donne si erano rinchiuse in una stanza, con i loro cinque figli piccoli. Siamo stati costretti a buttare giù la porta. Dentro faceva un caldo terribile. I bambini piangevano, erano sotto choc. Abbiamo chiamato un dottore. Io mi sentivo molto triste. E confusa».
È proprio dalla confusione di Dana che emerge tutto il suo dramma interiore. «Da un lato volevo aiutarli e spiegare che non ero il nemico. Dall’altro il modo in cui mi guardavano mi faceva arrabbiare. Ho 21 anni e mi sentivo come un bambino che deve fare il lavoro di un adulto. Evacuo coloni, scrivo la storia e lo faccio nel modo più umile possibile. Finché resto qui ho il dovere di rimanere il più sensibile possibile, anche quando soffro per loro. E per me».
Il ritiro da Gaza potrebbe finire entro martedì. Il dramma interiore di Dana continuerà ancora per molto tempo.

Ma in quel momento, almeno, potrà piangere veramente.

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