Cultura e Spettacoli

«Dietro lo schermo» c’è un direttore-filosofo

Confessiamo di averlo riletto più di una volta prima di esserne certi. Quello che cita Gorgia, Agostino di Ippona, Wittgenstein, Hume, Marshall McLuhan, Jünger e Montale, Duchamp e Wharol, non è il filosofo della scienza Stefano Moriggi, ma è proprio Fede, nel senso di Emilio Fede. È lui, il direttore del Tg4, che in questa sorta di dialogo socratico sull'arte della comunicazione e sull'immagine (Dietro lo schermo, ed. San Raffaele), discetta di «distonia tra forma e contenuto», di «convergenza tra medium e messaggio», di «tv come schermo impressionista», «di coscienza tecnica». Fede, il filosofo che non ti aspetti. E allora, tanto per stare nel settore, il sorprendente Fede-filosofico che esce da queste pagine potremmo metterlo tra gli empiristi, perché antepone l’esperienza sul campo alla teoria dei manuali (le odiate scuole di giornalismo), oppure un fenomenologo, che prende a spunto il linguaggio della pittura per spiegare quello dei mezzibusti. Addirittura per certi versi un moralista, nel senso settecentesco del termine. Come quando demolisce una conduttrice di tg (di cui non si fa il nome) perché troppo truccata, eccessivamente curata nella pettinatura, fastidiosamente ammiccante negli sguardi alla telecamera, insomma troppo avvenente per essere credibile come «veicolo di sensi e significati». Fede-semiologo precisa: «Stonata rispetto alla funzione», perché quell’immagine («quando sei dietro allo schermo sei anche tu un’immagine») «distrae» dalla notizia. E lì che Fede-estetologo distingue tra estetica («la bella informazione») e cosmetica della comunicazione («l’attenzione alla forma estraniata da qualsiasi contesto e avulsa da qualsiasi significato»). Poche pagine dopo e Fede-filosofo dei costumi (televisivi) se la prende con certi «modesti sofisti della comunicazione e della loro retorica di quart’ordine che fa leva, per fini commerciali, sulla pancia e non sulla testa dei telespettatori». Tanti, se secondo Fede «il settanta per cento di coloro che stanno dietro lo schermo non sa “fare televisione”».
Sembra che il direttore del Tg4 abbia un’avversione anche fisica verso quel genere di colleghi che prendono il giornalismo come status symbol. Ne ha anche una precisa immagine in mente: «Sguardo da uomo vissuto, aria finto-trascurata, un po’ di giornali sottobraccio e quella spocchia da intellettualino che ti spiega come si sta al mondo».
A questi «professionisti del riciclo della notizia» il Fede-empirista contrappone la vecchia scuola dei cronisti che si formavano consumando le cosiddette suole delle scarpe. Lui, per esempio, ha iniziato a fare il giornalista spingendo un mulo. Cioè quando a sedici anni, con l’Etna in eruzione, riuscì a unirsi a una troupe televisiva che saliva fino al rifugio Sapienza per poi proporre il racconto al Giornale della sera, esordio giornalistico di Emilio Fede, poi cronista volontario al Messaggero, quindi in Rai. Ma oltre alle riflessioni sul mezzo televisivo ricavate da 47 anni di esperienza «dietro lo schermo», ogni tanto tra le pagine viene fuori anche il Fede umorale che meglio conosciamo. Quello, per esempio, che tiene nel cassetto del suo ufficio la lista dei giornalisti disoccupati della Lombardia (450) per sbatterla in faccia ai collaboratori che non si danno da fare: «Chissà mai che almeno da lettori comincino a riflettere...

».

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