da Roma
«Sul caso di Piergiorgio Welby non mi pronuncio. Rispetto tantissimo il suo dolore e affido a Dio il suo futuro». È questo il laconico giudizio del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, in una delle sue prime uscite pubbliche da quando è stato nominato alla successione di Angelo Sodano da Papa Benedetto XVI. Il dramma umano delluomo che sta inutilmente lottando contro una malattia implacabile lascia dunque nello sconcerto e in una profonda tristezza anche le massime autorità della Chiesa.
Unanaloga eco viene anche dai vescovi. «La dignità della vita sta in tutti gli istanti, dal primo allultimo soffio»: è quanto scrive il quotidiano della Cei Avvenire che conferma come non sia perseguibile in alcun modo la strada delleutanasia. Come si ricorderà, infatti, Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare progressiva, nelle scorse settimane ha chiesto di morire, gesto che ha alimentato il dibattito politico in cui ora è intervenuto il giornale dei Vescovi con un editoriale che ribadisce il «no» allipotesi della cosiddetta «dolce morte».
Pur esprimendo «angoscia» per la sofferenza di Welby, ed auspicando che gli arrivi «una parola di speranza, di conforto, di condivisione, mai di abbandono», Avvenire commenta la decisione pronunciata ieri dal giudice Angela Salvio: «Qualcuno potrebbe interpretare: per tutelare i diritti di chi vuol staccare la spina ci vuole una legge sulleutanasia. Non è così». Il punto è stabilire se una cura si configura o meno come accanimento terapeutico. «Che debba essere una legge a dettare il catalogo degli accanimenti pare improbabile», conclude il quotidiano della Cei.